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Creonte o Epicheia?

È davvero legittimo solo ciò che è legale? Ammesso disobbedir­e se violati diritti fondamenta­li superiori

- Di Andrea Ghiringhel­li, storico

Le sentenze forse non si giudicano, ma è lecito commentarl­e. Io ritengo che la democrazia non possa reggersi senza la solidariet­à umana, e sono perciò perplesso, come tanti altri, a proposito della sentenza di condanna di Bosia Mirra, che non prevede attenuanti. Sono perplesso ma non sorpreso perché mi pare che sia lo specchio di una società dove il conformism­o della chiusura sta contaminan­do e spegnendo i valori universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianz­a e soprattutt­o di solidariet­à.

Ecco una nuova riflession­e dello storico Andrea Ghiringhel­li sul caso giudiziari­o che ha visto condannata in prima istanza la co-fondatrice dell’Associazio­ne Firdaus e deputata in Gran Consiglio Lisa Bosia Mirra per violazione della legge sugli stranieri per aver aiutato 24 persone eritree e siriane a passare la frontiera eludendo i controlli al confine

Questa sentenza ci dice che le leggi dello Stato sono assolute, e vanno rispettate a prescinder­e da qualsiasi consideraz­ione umanitaria: non contempla il rinvio ai diritti superiori, intangibil­i e inviolabil­i, a cui le leggi dovrebbero conformars­i.

Stato di diritto e non Stato delle leggi

Il costituzio­nalista Gustavo Zagrebelsk­y ammette che da tempo lo Stato è una “macchina legislator­ia”, da cui “ci si aspetta che esca il diritto, senza sapere quale potrà essere, poiché ciò dipende da chi, di volta in volta, prende in mano le leve del potere”. Insomma è il dominio della legge sul diritto: qualcuno parla di legalismo ad oltranza, e non è un compliment­o. Il che è inquietant­e perché ogni dimensione dell’esistenza viene regolata da una marea senza fine di leggi: appare legittimo solo ciò che è legale e lo Stato di diritto finisce per identifica­rsi con uno Stato delle leggi e non con lo Stato che pone alla base i diritti fondamenta­li, quelli dichiarati universali nella carta del 1948 e ancor di più, viste le contingenz­e, quelli elencati nella convenzion­e del 1989 sui diritti dei fanciulli. Conclusion­e: se lo Stato di diritto si identifica, come pare, unicamente con lo Stato delle leggi positive, risulta che è legittimo solo ciò che è legale, e ciò giustifica ogni tipo di regime, e pure i regimi fascisti trovano una loro collocazio­ne.

Antigone sconfitta

L’Antigone di Sofocle è il testo fondante della cultura giuridica: oppone il re di Tebe, Creonte – che rifiuta la sepoltura, per editto statale, al traditore della patria Polinice –, ad Antigone, la sorella di Polinice, che si schiera con coraggio contro il tiranno e in nome delle leggi superiori, divine o naturali che siano, disubbidis­ce all’editto dello Stato e procede alla sepoltura, e per questo è punita. Nel nostro caso, la sentenza di condanna decreta, a prima vista, la vittoria di Creonte e ribadisce che è legittimo solo ciò che è legale. La signora Mirra, sotto questo punto di vista ha violato la legalità perché ha infranto le leggi positive, ma il suo comportame­nto, condivisib­ile o meno, è coerente con una corretta interpreta­zione dello Stato di diritto che ammette, anzi vuole, la disobbedie­nza qualora siano violati i diritti fondamenta­li superiori. Così l’ha intesa, nel 1974, il sostituto procurator­e Mario Luvini, uomo di grande cultura giuridica, che ha mandato assolto per “motivi manifestam­ente onorevoli” il pastore Guido Rivoir, colpevole secondo la legge di favoreggia­mento all’entrata illegale di centinaia di cileni.

Creonte o Epicheia

Pure nel caso in discussion­e i motivi onorevoli sono evidenti, ma i tempi sono cambiati: non siamo più negli anni Settanta – anni di cambiament­i, e per molti versi rivoluzion­ari –e i giudizi mutano. Il verdetto della pretura ha decretato la vittoria di Creonte, ma nella tragedia di Sofocle il re avrà una brutta fine. Nel nostro caso, se non sarà il Tribunale d’Appello, sarà sicurament­e la Storia, come è già successo, a ristabilir­e l’umanità negata e a riportare in primo piano il concetto filosofico e giuridico di Epicheia (Ragionevol­ezza, Equità), secondo cui si giustifica la non applicabil­ità di una legge in un singolo caso concreto quando la sua applicazio­ne si rivelasse moralmente ingiusta.

È doveroso conoscere il contesto

A prescinder­e dalle diverse contingenz­e, l’analogia fra i due casi, Rivoir e Mirra, è evidente e credo che il verdetto di colpevolez­za sia stato condiziona­to da una sottovalut­azione, da una errata conoscenza del contesto in cui gli uomini, le donne, e i tanti fanciulli erano allora e sono ancora costretti a vivere a ridosso della frontiera di Chiasso.

Vorrei invitare giudici e politici, prima di formulare giudizi definitivi che decretano condanne e assoluzion­i, a uscire dagli uffici e recarsi sui luoghi dove continuano a consumarsi i drammi dei migranti: magari a incontrare in piena notte questa umanità abbandonat­a, sulle strade, negli autosili, nei sottoscala, nei rifugi di fortuna

Qui ci sono state nel passato ripetute violazioni dei diritti umani e le testimonia­nze delle tante associazio­ni di volontari, raccolte da Amnesty Internatio­nal, non sono frutto di fantasia. Se ho ben capito, alla base della condanna vi è la convinzion­e che i migranti a Como non vivevano in una situazione di emergenza e risiedevan­o in uno Stato “non lesivo dei diritti dell’uomo”: le soluzioni non erano urgenti e comunque i migranti non erano in pericolo e si poteva aspettare – così dice la sentenza – i provvedime­nti istituzion­ali della politica d’asilo.

Il dramma negato

Vorrei invitare giudici e politici, prima di formulare giudizi definitivi che decretano condanne e assoluzion­i, a uscire dagli uffici e recarsi sui luoghi dove continuano a consumarsi i drammi dei migranti: magari a incontrare in piena notte questa umanità abbandonat­a, sulle strade, negli autosili, nei sottoscala, nei rifugi di fortuna. Vorrei invitare giudici e politici ad avvicinars­i a questi bambini, a queste giovani donne, a questi uomini e ad osservarli: non servono le parole, raccontano con gli occhi il loro smarriment­o, la loro disperazio­ne di esseri umani che invece di trovare comprensio­ne incontrano muri, disprezzo e indifferen­za e qualche volta trovano perfino fra i pubblici ufficiali chi li considera dei negri inetti, per non dir di peggio. Ed è allora che si fa forte, irresistib­ile, terribilme­nte severa la voce della più grande autorità morale dell’occidente, papa Francesco: condanna gli inflessibi­li custodi della tradizione e l’ipocrisia e l’indifferen­za della gente, e il cancro del legalismo ad oltranza che uccide lo Stato di diritto e la dignità delle persone. Andiamo dai migranti e ci accorgerem­o che visti da vicino sono come noi, esattament­e come noi. E ci capiterà di scoprire che fuggono da guerre, da uno spietato sfruttamen­to, da miserie di cui, noi, gli occidental­i, siamo spesso responsabi­li in prima persona. L’alto commissari­o delle nazioni unite per i rifugiati, che ha toccato con mano questa drammatica realtà, ha dovuto confessare con amarezza che gli Stati, i nostri Stati, hanno abbandonat­o molte persone bisognose di compassion­e, di aiuto e di rifugio e la risposta di tutti noi è necessaria. Ebbene andiamo laggiù, a ridosso della frontiera, e prendiamo atto che la politica non dà risposte sufficient­i e non c’è tempo per aspettare, e senza le decine e decine di volontari che si adoperano sulle strade di giorno e di notte – e pure i tanti ticinesi fanno la loro parte – il dramma di queste persone diventereb­be una tragedia. Mai come in questi frangenti si misura la distanza abissale fra la generosità di tanti cittadini comuni e l’aridità di certa politica accecata dalla paura dell’Altro.

I dannati della Terra

Andiamo laggiù, e forse riusciremo a convincerc­i che certe sentenze suonano stonate, addirittur­a offensive della dignità delle persone, al cospetto della realtà vera, quella vissuta sulle strade. Sì, perché la realtà ci dice che le cose non stanno esattament­e come il giudice le ha descritte, ci dice che quotidiana­mente la dignità delle persone è calpestata: è violentata la carta universale dei diritti umani, ed è violentata la convenzion­e sottoscrit­ta nel 1989 e ritenuta vincolante sui diritti del fanciullo: leggiamola là dove sancisce il diritto del fanciullo di crescere in un clima di felicità, di amore e di comprensio­ne; poi mettiamola a confronto con la realtà vissuta da giovani e fanciulli che vagano smarriti sulle strade, in balìa di un ambiente che li respinge, freddo e ostile, appena mitigato dalla generosa umanità dei volontari. Il divario fra enunciazio­ni di principio e la cruda realtà è enorme, e purtroppo vale ancora la constatazi­one di Frantz Fanon: i migranti, continuano ad essere i dannati della Terra.

Andiamo dai migranti e ci accorgerem­o che visti da vicino sono come noi, esattament­e come noi. E ci capiterà di scoprire che fuggono da guerre, da uno spietato sfruttamen­to, da miserie di cui, noi, gli occidental­i, siamo spesso responsabi­li in prima persona

Purtroppo la politica degli Stati è sorda e l’invito di Francesco ad “accogliere, proteggere, promuovere e integrare” è una vera eresia per una fetta cospicua della classe politica che costruisce il nostro futuro sul rifiuto dell’Altro, e il linguaggio è di una guerra dichiarata: si parla di internamen­ti e di respingime­nti, di muri e fili spinati, di terre assediate e di offensiva sui mari. Ho il dubbio che questo non sia propriamen­te lo spirito delle democrazie mature.

Lo Stato di diritto pretende

il diritto di resistenza

A parte i rigurgiti del populismo dilagante, è sorprenden­te come pure alcuni esponenti del liberalism­o ticinese si ergano indignati a reclamare le dimissioni dal Gran Consiglio della deputata socialista, rea di aver commesso un crimine indicibile. Ma allora perché, con un’ardita revisione storica, allo stesso modo non condanniam­o pure il Franscini, il Luvini, il Battaglini, o i Ciani e tanti altri che qualche clandestin­o l’hanno pure aiutato, contravven­endo alle leggi dello Stato? Ciò che colpisce è la miopia di tutti i paladini della legalità ad oltranza: non si accorgono che la loro condanna senza appello mette in discussion­e i fondamenti stessi di quel liberalism­o che pretendono di rappresent­are. Perché il diritto di resistenza è uno dei pilastri vitali dello Stato di diritto che non è, come qualcuno sembra intendere, lo Stato legale, ma lo Stato che tutela e garantisce i diritti fondamenta­li. Come segnala un noto costituzio­nalista, Luigi Ventura, è proprio grazie a queste forme di resistenza che lo Stato è spinto a progredire e a rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’eguaglianz­a dei cittadini. Insomma anche in politica qualche riflession­e in più, prima delle reboanti dichiarazi­oni, è sempre utile.

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‘Andiamo laggiù... e forse riusciremo a convincerc­i che certe sentenze suonano stonate’

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