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‘Lo so, forse sono un po’ naïf’

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Cara Rsi. È vero, non trasmetti più i derby di hockey e tutti sono arrabbiati. Però – per noi che non riusciamo mai a vedere dov’è il disco – l’importante è che non ci privi dei tuoi showcase, con gli artisti soli soletti, voce e strumento o poco altro. Compreso Raphael Gualazzi, che si è raccontato poche ore dopo il nostro incontro al microfono di Gianluca Verga, suonando classici e spicchi di “Love Life Peace”. L’urbinate, oggi di casa in Veneto, ha aperto – proprio in nome dei massimi sistemi – con la sua versione di ‘Imagine’ («L’amore per la vita non ha prezzo, ed è bello celebrarlo ogni volta che si sale su un palco»). Un cenno all’illuminazi­one per la musica – «Mio padre era batterista nell’Anonima Sound, uno dei primi gruppi di Ivan Graziani, la musica in casa non è mai mancata» –, Gualazzi parla delle ‘scritture sacre’, del blues al quale fu introdotto da amici, fuso col patrimonio classico degli studi al conservato­rio, e dei primi tentativi di composizio­ne che annoverano la sua ‘A simple song’. «Tutti i musicisti sono un pochino disturbati: se ti metti a spingere tasti bianchi e neri sin dal mattino, è evidente che normale non sei». Da qui, la sua definizion­e di pianoforte: «Da bimbo pensi che sia una macchina del futuro, da adolescent­e è come suonare la batteria sopra l’orchestra, e quando diventi grande è il tuo modo per trovare una fidanzata», saggia analisi che sfocia nella romantica ‘All alone’. La sua tendenza percussiva, invece, esplode in ‘Let him live’, inserita nella rerelease dell’album e, nella giusta alternanza tra stride piano e melodia italica, in ‘Follia d’amore’. Prima della chiusura, affidata a ‘Key to my kingdom’ (B.B. King) e – lapalissia­no – ‘At last’, un gustoso siparietto sui singoli: «Sono grato che le radio passino i miei, ma non sono mai stato un fan dei singoli, che non sempre sono la cosa migliore degli album. Di solito si ascoltano in contesti rumorosi come sale d’attesa, o dentro i veicoli, che si mangiano le frequenze. Lo so, forse sono un po’ naïf, ma io la musica la preferisco al caldo, ascoltata con le persone alle quali voglio bene, su vinile e in pace». Questo non significa che – «per essere coerente» – il pianista ci privi di ‘L’estate di John Wayne’, con incipit in francese, suonata più alla maniera di Gualazzi che come vuole la radio.

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