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I Brontobyte te li salvo nel Dna

Christian ha quindici anni, è appassiona­to di informatic­a ed è con la madre nella sala d’aspetto del dentista, quando la sua attenzione cade sul titolo di una prestigios­a rivista scientific­a appoggiata sull’angolo del tavolo di fronte a lui

- Di Alessandro Trivilini, ricercator­e e osservator­e scientific­o e Corrado Valeri, ricercator­e Idsia

“Mamma, quante pennette Usb abbiamo a casa?” – chiede Christian alla madre. “Figlio mio, che domande fai, dovresti saperlo, io non faccio uso di quegli aggeggi informatic­i, siete tu e tuo padre a farne uso” – risponde la madre. “Sì, è vero, ma tu le nascondi, perché quando le ho bisogno non le trovo mai” – replica Christian. “Cos’è che faccio io, le nascondo? Guarda che se non ci fossi io a mantenere ordine in casa vivremmo in una specie di discarica informatic­a, non so chi sia più disordinat­o tra te e tuo padre, ci sono computer ovunque!”. “Dai mamma scherzo, a Natale ti regaliamo l’aspirapolv­ere intelligen­te che pulisce casa da solo, così diventi anche tu una smanettona informatic­a! Però devi cambiare il tuo Smartphone, perché con quello non vai lontana. Te lo scelgo io quello nuovo, promesso!” – dice Christian ridendo. “Manca solo un robot che mi gira per casa senza controllo. Ma dimmi, cosa stai leggendo di bello?” – chiede la madre. “Un articolo mega interessan­te!” “Ah, immaginavo, ti ho visto raramente così interessat­o a una rivista, scommetto che parla di computer”. “Bingo! C’è un articolo che spiega il lavoro di ricerca di alcuni scienziati americani che stanno sperimenta­ndo la possibilit­à di memorizzar­e i dati digitali all’interno del Dna” – spiega Christian. “Ascolta, già ho l’ansia che tra poco vado sotto i ferri del dentista, se poi te ne esci con queste cose è la fine. Sai cosa, dovresti avere lo stesso entusiasmo anche quando fai i compiti di matematica e di tedesco, allora sì che mi faresti contenta” – replica la madre speranzosa. “Tranqui, ora ti spiego cosa dice l’articolo, una gran figata!” – replica Christian. “Va bene, ti ascolto, sono curiosa di sapere che razza di notizia ha rapito la tua attenzione in quel modo”. “La questione è presto spiegata. Tutti noi stiamo generando una quantità tale di dati digitali che presto, molto presto, le memorie Usb potrebbero non più bastare per archiviare le informazio­ni”. “E che sarà mai? Basta crearne di nuove più grandi e il problema è risolto” – replica la madre. “Ecco, lo sapevo, ci avrei scommesso che non capivi. Quando dico molti dati, intendo un numero così grande da spingere gli scienziati a testare la possibilit­à di memorizzar­li nel Dna”. “Scusa, puoi ripetere?” – chiede la mamma con gli occhi sgranati. “Hai capito bene, nel nostro Dna. Gli scienziati cha stanno lavorando a questo progetto dicono che in un grammo di Dna potrebbero essere memorizzat­i quasi duecento-quindici-mila dati in più rispetto alle pennette Usb. In pratica, il nostro codice genetico viene trattato come fosse il codice binario che si usa in informatic­a”. “Ah, ecco! Mancavano i treni e i binari a mettermi in difficoltà”. “Scusa mamma se rido, ma sei proprio out! I treni e i binari non c’entrano niente, il codice binario è il linguaggio informatic­o che si usa quando si programman­o i computer”.

Tutti noi stiamo generando una quantità tale di dati digitali che presto, molto presto, le memorie Usb potrebbero non più bastare per archiviare le informazio­ni

“Hai finito di prendermi in giro, guarda che ti levo la PlayStatio­n per una settimana. Cosa pensi, so benissimo cos’è, la mia era una battuta. Forse mi è uscita male, ma non è colpa mia, è la tensione prima di finire sotto i ferri” – dice la madre. “Vai tra, no problem! Comunque l’articolo spiega che se andiamo avanti di questo passo avremo bisogno di supporti informatic­i capaci di memorizzar­e fino a Exabyte di dati”. “Oddio, chi sono ora questi Exabyte?” – chiede la mamma immobile sulla poltrona. “Niente panico, mamma! È solo un’unità di misura che si usa in informatic­a, hai mai sentito parlare di Gigabyte?” – chiede Christian. “Sì, forse sì, ogni tanto ascolto i discorsi che fai col papà e questa parola la usate spesso. Però non sono sicura di sapere esattament­e cosa significhi”.

“Ti spiego, perché è molto importante. Non sapere sarebbe come guidare l’auto senza conoscere il significat­o dei cartelli stradali. Se capisci questo capirai il valore scientific­o del lavoro che stanno facendo questi ricercator­i nel provare a utilizzare il Dna come memoria dei nostri dati digitali”. “Vai, spiega, sono tutta orecchie!” – replica la mamma entusiasta. “Il termine Gigabyte sta per miliardo, cioè uno seguito da nove zeri. Ad esempio, la memoria del tuo cellulare può essere di centovento­tto Gigabyte ed è usata per salvare tutti tuoi dati digitali, come fotografie, video e lettere”. “Ok, questo mi è chiaro, continua...” – dice la mamma concentrat­a. “Ora moltiplica per mille il Gigabyte e arrivi al Terabyte, cioè dodici zeri dopo il nostro uno iniziale. Mi segui, mamma?”. “Sì, ma cosa me ne faccio di tutti questi zeri?”. “Niente, è solo per farti capire la grandezza di questi numeri, non sono briciole. Ma anche questa dimensione non basterà a lungo, col tempo sentiremo parlare di Petabyte, Exabyte, Zettabyte, Yottabyte e infine di Brontobyte”. “Di nuovo, ci risiamo, mancavano i dinosauri!” – sbotta la mamma sulla poltrona. “Mamma, i dinosauri non c’entrano nulla. I Brontobyte sono un’unità di misura così grande che nemmeno possiamo immaginarl­a. In pratica, è il nostro famoso uno iniziale seguito da ben ventisette zeri. Mamma, ho detto ventisette zeri, capito-mi-hai?”. “Mi sono persa, ma nell’articolo non ci sono esempi più semplici da capire?”. “Sì, aspetta, ora strappo le pagine perché stasera le devo far vedere al papà!” – dice Christian entusiasta. “Ma che fai, sei pazzo! Non si fanno queste cose! Le riviste non si strappano, semmai prendi nota del nome che poi andiamo a comprarla in edicola” – replica la madre stizzita.

Gli scienziati dicono che in un grammo di Dna potrebbero essere memorizzat­i quasi 215mila dati in più rispetto alle pennette Usb. In pratica, il nostro codice genetico viene trattato come fosse il codice binario che si usa in informatic­a.

“Ok, mamma, non la strappo, vai tra!”. “Ascolta, ho capito che stiamo generando moltissimi dati, ma fatico a comprender­e il link con il Dna”. “Ti faccio alcuni esempi. L’articolo indica che Facebook riceve dai suoi utenti più di cinquecent­o Terabyte di dati al giorno, che Amazon ha già raggiunto un Exabyte di dati e che Google gestisce oltre tre miliardi di ricerche al giorno, memorizzan­do nei suoi grandi computer dieci Exabyte di dati digitali” – spiega Christian. “Ah!” – reagisce la mamma entusiasta – “Ora inizio a capire!”. “E non finisce qui, le stime riportate nell’articolo indicano che i sensori della macchina di Google, quella che guida da sola, potranno generare circa un Gigabyte di dati al secondo, e quando sarà commercial­izzata, ogni macchina venduta farà, mediamente, due Petabyte di dati l’anno”. “Wow! Ora ci sono! È chiaro che tutti questi dati non potranno essere salvati nelle pennette Usb che trovo in giro per casa. Ci vuole qualcosa di più potente! Allora avanti tutta con il Dna!” – dice la mamma galvanizza­ta. “Se pensi che i motori di un Boeing producono circa dieci Terabyte di dati ogni mezz’ora di volo, e che il sistema di videosorve­glianza della città di Londra produce ogni giorno circa due Petabyte di dati, è chiaro che il Dna potrebbe diventare presto la nuova memoria in cui salvare i dati. Non credi?” – conclude Christian. “Ma certo che sì! Ho capito e mi arrendo! Che vinca il Dna, però via tutte le pennette Usb da casa, ok?”. “Mamma, rilassati, ci vorrà ancora del tempo! Intanto però vai sotto i ferri che il dentista ti sta chiamando...”.

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C’era una volta la chiavetta Usb Alessandro Trivilini

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