Il puzzle di Nelson Freire
Fra i più seducenti virtuosi della tastiera oggi in circolazione, esibitosi molte volte al fianco di Martha Argerich, Freire chiuderà in assolo le Settimane Musicali di Ascona con un variegato programma Intervista al pianista brasiliano in concerto marte
Sommo artista brasiliano che sa unire l’estro carioca della gioia del far musica al rigore di una carriera perseguita in tutto il mondo, Freire è sulla scena esattamente da 60 anni. Dopo aver dato a 5 anni il suo primo concerto pubblico, a 12, nel ’57, si aggiudicò il primo premio al Concorso internazionale di Rio, vittoria che diede il via a un luminoso percorso tra Europa, Usa e Giappone. «Per me un privilegio impagabile è stato soprattutto quello di ricevere l’educazione musicale e pianistica da una lontana discepola di Liszt» racconta Freire. «E infatti da ragazzo ho avuto tante lezioni da madame Lucia Branco, che a Bruxelles aveva studiato con Artur de Greef, ultimo allievo del leggendario genio ungherese. Una simile eredità è semplicemente qualcosa di miracoloso. Ti fa sentire molto legato alla solida tradizione, dato che ogni volta che suoni devi sempre considerare quello che sta dietro ad ogni singola opera».
Parliamo di un’impostazione che ha finito per influenzare anche le sue scelte di repertorio?
Beh, non mi è mai piaciuto lottare con qualsiasi genere di letteratura. Mi spalanco totalmente verso un musicista, solo se sento di avere davvero qualcosa da dire. Viceversa lo tengo doverosamente da parte. E dire qualcosa di personale non significa necessariamente fare un’interpretazione diversa. Se senti ciò che fai, non c’è bisogno di approntare un miglioramento, tutto deve arrivare in modo naturale.
Quanto è cambiato il gusto e l’orientamento musicale nel mondo, da quando lei ha iniziato a suonare?
Immensamente. La cosa che più mi colpisce è che oggi è molto più difficile far carriera per un giovane. Oltre al talento necessario devi anche possedere una sorta di immagine pop che piaccia ai media. Non tutti oggigiorno possono vantare entrambe le cose.
L’amicizia e il lungo sodalizio con Martha Argerich avranno avuto un’importanza enorme sulla sua vita…
Certo, un impatto enorme nel mio mondo musicale. Ha aperto nuovi orizzonti sin da quando ero adolescente, direi in maniera totale: jazz, opere per orchestra, musica da camera, letteratura per archi, tutto quanto ha finito per assumere una forza nuova, proprio attraverso il mio contatto con lei.
E il programma di Ascona fra Bach, Beethoven, Heitor Villa-Lobos e la Sonata n.3 di Fryderyk Chopin come l’ha congegnato?
Fare un programma è sempre un puzzle: prima lo metto sulla carta per vedere se funziona, poi lo suono per capire come si sente. Infine provo a mettermi
nei panni dell’ascoltatore. Ma non finisce qui, perché lo cambio ancora altre mille volte.
Ha qualche progetto intrigante per il futuro?
Molti che includono viaggi tra Europa, Cina, Australia, Giappone e Stati Uniti.
Per chi come me odia volare (e io mi sento sempre spaventosamente mortale) direi che è sufficiente.
Ascona, Chiesa del Collegio Papio, martedì 17 ottobre alle 20.30.