laRegione

Questa America ‘prima’ e sola

- Di Aldo Sofia

Se si tratta del peggio, il 45º presidente degli Stati Uniti è di tenace coerenza. Così come nella determinaz­ione di picconare il multilater­alismo, lui che crede soprattutt­o nei rapporti di forza. Così, nel giro di pochi mesi, Donald Trump ha compiuto i passi che dovrebbero concretizz­are il suo concetto di “America first”, prima, e sempre più sola. Ha stracciato l’accordo sul clima di Parigi, per poi infilare gli stivaloni del poco verosimile soccorrito­re negli Stati sconvolti dagli uragani (“i più epici e costosi”, li ha definiti, senza accennare alla possibilit­à che quei micidiali tifoni in serie siano anche il risultato degli sconvolgim­enti climatici). È andato alla tribuna dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite solo per denunciarn­e violenteme­nte l’assoluta inutilità. Ha quindi annunciato il ritiro della superpoten­za dall’Unesco, l’organizzaz­ione per l’educazione, la scienza e la cultura (non proprio una novità per gli Usa). E ha infine compiuto la prima mossa sulla strada della denuncia dell’accordo sul nucleare raggiunto faticosame­nte due anni fa con l’Iran, passando la patata bollente al Congresso, ma precisando che la parola definitiva spetterà comunque alla Casa Bianca. Decisione condannata da tutti gli altri firmatari (europei, russi, cinesi), che al contrario riconoscon­o a Teheran il sostanzial­e rispetto dell’intesa da parte del Paese degli ayatollah, che fra l’altro ha accettato ispezioni permanenti e senza precedenti da parte dell’Agenzia internazio­nale dell’energia atomica. Il peggior accordo mai firmato da Washington, lo definisce “the Donald”, mettendoci di tutto, dagli esperiment­i balistici iraniani (non proibiti dall’accordo), al mancato rispetto dei diritti umani (una gran novità), all’attivismo della potenza sciita su diversi scenari mediorient­ali. La verità è assai più semplice: da una parte la stella polare di Trump rimane ossessivam­ente lo sradicamen­to della strategia del suo predecesso­re; dall’altra, si tratta di consolidar­e una precisa scelta di campo in favore dei suoi due alleati più anti-iraniani, cioè Israele e Arabia Saudita. Poco importa se nella Repubblica islamica rialzano la testa le correnti conservatr­ici contrarie al pragmatico presidente Rouhani, se Teheran allenterà la sua pressione sul terreno contro i tagliagole dell’Isis, se il premier israeliano Benjamin Netanyahu tornerà a cullarsi nella pericolosa idea di un attacco preventivo contro l’Iran, e soprattutt­o se quest’ultimo si sentirà in stato di guerra e dunque autorizzat­o a seguire “la via nord-coreana” per dotarsi dell’arma assoluta. Ulteriore benzina sull’inesauribi­le incendio medioorien­tale. È la presidenza muscolare, di cui abbiamo recenti e disastrosi esempi. E a tranquilli­zzare non bastano certo le inascoltat­e parole del capo del Pentagono generale Mattis e del ministro degli Esteri Tillerson, difensori dell’accordo con Teheran. Il solito caos alla Casa Bianca.

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