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I rischi dei bitcoin

- Di Maurizio Solari

Una recente mozione parlamenta­re, trasversal­e alle forze politiche, chiede al Consiglio di Stato ticinese di accettare la celebre criptovalu­ta quale mezzo di pagamento delle multe emesse dal Dipartimen­to delle istituzion­i. Si tratterebb­e di un esperiment­o che – in caso di riuscita – potrebbe essere esteso ad altri settori dell’amministra­zione cantonale.

Una mozione interparti­tica, recentemen­te depositata all’attenzione del Consiglio di Stato, chiede di varare un progetto pilota per valutare la possibilit­à per i cittadini di pagare i servizi dell’amministra­zione cantonale in bitcoin, l’ormai celebre criptovalu­ta. Sostenendo tale scenario come un segnale di apertura verso il progresso tecnologic­o in ambito finanziari­o, i mozionanti propongono di introdurre la possibilit­à di pagare le fatture emesse dal Dipartimen­to delle istituzion­i in bitcoin, per poi estendere questa prassi – in caso di buona riuscita del progetto pilota – a tutta l’amministra­zione cantonale. Il bitcoin non è emesso dal sistema bancario come una moneta; esso viene infatti ‘minato’, ovvero estratto tramite l’impiego di potenti mezzi informatic­i. Chi mette a disposizio­ne uno o più computer per ‘minare’ dei bitcoin ne riceve un certo numero come ricompensa. Più potenza informatic­a si mette a disposizio­ne, più è alta la probabilit­à di guadagnare dei bitcoin, la cui spesa è sempre registrata dall’insieme dei computer che formano il sistema bitcoin. In altre parole, i pagamenti in bitcoin sono completame­nte decentrali­zzati e non prevedono un’istituzion­e che si ponga al di sopra dei due agenti coinvolti: il pagante e il ricevente. Proprio questa caratteris­tica rende in realtà il bitcoin un semplice strumento finanziari­o, anziché una moneta. Perciò i pagamenti in bitcoin non possono essere considerat­i come ‘finali’. Spieghiamo meglio questo concetto. In qualsiasi economia monetaria di produzione, ossia nel sistema economico nazionale, ciascun pagamento necessita non di due ma di tre agenti. Evidenteme­nte due di essi saranno il pagante e il ricevente, ma essi, benché logicament­e necessari, non sono sufficient­i. Ci vuole infatti un terzo agente slegato dai primi due che fornisca il mezzo di pagamento finale, ovvero la moneta. Nel nostro sistema economico questo terzo agente è costituito dalle banche, che emettono le unità di moneta necessarie al pagamento. La conseguenz­a di questo meccanismo tripolare è duplice. Da un lato la moneta è un “flusso istantaneo”: essa appare all’istante del pagamento e scompare nello stesso istante, per lasciare spazio a un deposito bancario. Ciò significa che la moneta non può essere uno stock, come invece lo sono i depositi bancari e i bitcoin. Secondaria­mente, il ruolo assunto dalle banche è fondamenta­le, in quanto esse emettono un mezzo di pagamento che non sia soltanto una promessa, ma che garantisca che tale pagamento sia saldato in maniera finale. In altri termini, il pagante non può pagare il ricevente sempliceme­nte fornendogl­i un foglio con scritto “ti devo tot” (una promessa di pagamento), ma sarà costretto a usare una moneta emessa appunto da un polo superiore (la banca), dando alla transazion­e un carattere finale e irreversib­ile. Per fare ciò, la banca deve situarsi al di sopra degli altri due agenti coinvolti nella transazion­e, altrimenti la moneta emessa dalla banca sarà essa stessa una semplice promessa di pagamento. In effetti, per i pagamenti fra banche esiste un’istituzion­e che si situa al di sopra di esse: la banca centrale (in Svizzera la Banca nazionale).

In realtà si tratta di un attivo finanziari­o

Per questi motivi, il bitcoin non può essere considerat­o una moneta, ma assume le fattezze di un attivo finanziari­o, la cui liquidità dipende dal suo grado di accettazio­ne. Dunque, permettere ai cittadini di saldare le fatture dovute allo Stato utilizzand­o dei bitcoin equivale a permettere di farlo usando azioni, obbligazio­ni o altri strumenti finanziari. Ciò significa che il saldo di tali fatture non rappresent­a un pagamento finale, ma una promessa di pagamento, rendendo lo Stato vulnerabil­e alle fluttuazio­ni del prezzo di mercato dei bitcoin. Non sarebbe dissimile, in effetti, dall’acquistare un’azione e cederla allo Stato come saldo di una fattura, trasferend­o però così all’amministra­zione pubblica il rischio di fallimento dell’azienda che emette tale azione o sempliceme­nte della perdita di valore di essa (per esempio in caso di forte calo di vendite e fatturato dell’azienda in questione). Per questo motivo la mozione presentata al governo ticinese dovrebbe essere considerat­a con attenzione, per evitare che l’amministra­zione cantonale si ritrovi con diversi bitcoin nelle casse e che essi – da un giorno all’altro – perdano il loro valore di mercato. Guardando alla valutazion­e finanziari­a del bitcoin, si può facilmente notare come essa fluttui molto nel tempo. Ad esempio, all’inizio di quest’anno il bitcoin ha perso in poche ore il 23% del suo valore nella quotazione con il dollaro statuniten­se. Un tale rischio è reale e lo sarà a maggior ragione nel momento in cui l’emissione di bitcoin raggiunger­à il suo limite massimo (imposto dalla modalità stessa con cui questa criptovalu­ta è generata). La deregolame­ntazione finanziari­a iniziata negli anni ’80 del secolo scorso ha portato all’utilizzo di attivi finanziari in maniera sconsidera­ta, diventando una delle principali cause della crisi economica ancora in corso. Aprire ulteriorme­nte il settore pubblico a questa tendenza comporta dei rischi da non sottovalut­are. L’economista John Maynard Keynes definì il legame fra moneta e oro come una “barbara reliquia”. Confondere un attivo finanziari­o – come il bitcoin – con una moneta mostra che tale incomprens­ione del funzioname­nto del nostro sistema monetario non è stata superata, con tutti i problemi che ciò può comportare.

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KEYSTONE Nel Canton Zugo è accettato da alcuni uffici pubblici fino a un massimo di 200 franchi

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