I rischi dei bitcoin
Una recente mozione parlamentare, trasversale alle forze politiche, chiede al Consiglio di Stato ticinese di accettare la celebre criptovaluta quale mezzo di pagamento delle multe emesse dal Dipartimento delle istituzioni. Si tratterebbe di un esperimento che – in caso di riuscita – potrebbe essere esteso ad altri settori dell’amministrazione cantonale.
Una mozione interpartitica, recentemente depositata all’attenzione del Consiglio di Stato, chiede di varare un progetto pilota per valutare la possibilità per i cittadini di pagare i servizi dell’amministrazione cantonale in bitcoin, l’ormai celebre criptovaluta. Sostenendo tale scenario come un segnale di apertura verso il progresso tecnologico in ambito finanziario, i mozionanti propongono di introdurre la possibilità di pagare le fatture emesse dal Dipartimento delle istituzioni in bitcoin, per poi estendere questa prassi – in caso di buona riuscita del progetto pilota – a tutta l’amministrazione cantonale. Il bitcoin non è emesso dal sistema bancario come una moneta; esso viene infatti ‘minato’, ovvero estratto tramite l’impiego di potenti mezzi informatici. Chi mette a disposizione uno o più computer per ‘minare’ dei bitcoin ne riceve un certo numero come ricompensa. Più potenza informatica si mette a disposizione, più è alta la probabilità di guadagnare dei bitcoin, la cui spesa è sempre registrata dall’insieme dei computer che formano il sistema bitcoin. In altre parole, i pagamenti in bitcoin sono completamente decentralizzati e non prevedono un’istituzione che si ponga al di sopra dei due agenti coinvolti: il pagante e il ricevente. Proprio questa caratteristica rende in realtà il bitcoin un semplice strumento finanziario, anziché una moneta. Perciò i pagamenti in bitcoin non possono essere considerati come ‘finali’. Spieghiamo meglio questo concetto. In qualsiasi economia monetaria di produzione, ossia nel sistema economico nazionale, ciascun pagamento necessita non di due ma di tre agenti. Evidentemente due di essi saranno il pagante e il ricevente, ma essi, benché logicamente necessari, non sono sufficienti. Ci vuole infatti un terzo agente slegato dai primi due che fornisca il mezzo di pagamento finale, ovvero la moneta. Nel nostro sistema economico questo terzo agente è costituito dalle banche, che emettono le unità di moneta necessarie al pagamento. La conseguenza di questo meccanismo tripolare è duplice. Da un lato la moneta è un “flusso istantaneo”: essa appare all’istante del pagamento e scompare nello stesso istante, per lasciare spazio a un deposito bancario. Ciò significa che la moneta non può essere uno stock, come invece lo sono i depositi bancari e i bitcoin. Secondariamente, il ruolo assunto dalle banche è fondamentale, in quanto esse emettono un mezzo di pagamento che non sia soltanto una promessa, ma che garantisca che tale pagamento sia saldato in maniera finale. In altri termini, il pagante non può pagare il ricevente semplicemente fornendogli un foglio con scritto “ti devo tot” (una promessa di pagamento), ma sarà costretto a usare una moneta emessa appunto da un polo superiore (la banca), dando alla transazione un carattere finale e irreversibile. Per fare ciò, la banca deve situarsi al di sopra degli altri due agenti coinvolti nella transazione, altrimenti la moneta emessa dalla banca sarà essa stessa una semplice promessa di pagamento. In effetti, per i pagamenti fra banche esiste un’istituzione che si situa al di sopra di esse: la banca centrale (in Svizzera la Banca nazionale).
In realtà si tratta di un attivo finanziario
Per questi motivi, il bitcoin non può essere considerato una moneta, ma assume le fattezze di un attivo finanziario, la cui liquidità dipende dal suo grado di accettazione. Dunque, permettere ai cittadini di saldare le fatture dovute allo Stato utilizzando dei bitcoin equivale a permettere di farlo usando azioni, obbligazioni o altri strumenti finanziari. Ciò significa che il saldo di tali fatture non rappresenta un pagamento finale, ma una promessa di pagamento, rendendo lo Stato vulnerabile alle fluttuazioni del prezzo di mercato dei bitcoin. Non sarebbe dissimile, in effetti, dall’acquistare un’azione e cederla allo Stato come saldo di una fattura, trasferendo però così all’amministrazione pubblica il rischio di fallimento dell’azienda che emette tale azione o semplicemente della perdita di valore di essa (per esempio in caso di forte calo di vendite e fatturato dell’azienda in questione). Per questo motivo la mozione presentata al governo ticinese dovrebbe essere considerata con attenzione, per evitare che l’amministrazione cantonale si ritrovi con diversi bitcoin nelle casse e che essi – da un giorno all’altro – perdano il loro valore di mercato. Guardando alla valutazione finanziaria del bitcoin, si può facilmente notare come essa fluttui molto nel tempo. Ad esempio, all’inizio di quest’anno il bitcoin ha perso in poche ore il 23% del suo valore nella quotazione con il dollaro statunitense. Un tale rischio è reale e lo sarà a maggior ragione nel momento in cui l’emissione di bitcoin raggiungerà il suo limite massimo (imposto dalla modalità stessa con cui questa criptovaluta è generata). La deregolamentazione finanziaria iniziata negli anni ’80 del secolo scorso ha portato all’utilizzo di attivi finanziari in maniera sconsiderata, diventando una delle principali cause della crisi economica ancora in corso. Aprire ulteriormente il settore pubblico a questa tendenza comporta dei rischi da non sottovalutare. L’economista John Maynard Keynes definì il legame fra moneta e oro come una “barbara reliquia”. Confondere un attivo finanziario – come il bitcoin – con una moneta mostra che tale incomprensione del funzionamento del nostro sistema monetario non è stata superata, con tutti i problemi che ciò può comportare.