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Memoria di passaggio

A colloquio con Pippo Bellone, autore di un racconto migrante personale, ma universale Come può, un popolo che un tempo emigrava, non comprender­e le sofferenze e le motivazion­i di chi oggi si mette in viaggio? Una chiacchier­ata su memoria personale e coll

- Di Clara Storti

“Il presente da affrontare, il futuro da programmar­e e poi c’è anche il passato! Lo analizzi, ci torni e lo elabori”. La citazione è dal libro ‘Partire con un treno… tornare con Facebook’ di Pippo Bellone* (2011). Queste parole sottolinea­no il peso del passato personale che spesso va al di là di quella che è la storia individual­e diventando collettivo, indispensa­bile per poter capire il presente e guardare al futuro. Il libro racconta un’esperienza migratoria dal Sud Italia alla Svizzera e ritorno: una questione personale che però accomuna, nel tempo e nello spazio, molte persone. Purtroppo assistiamo oggi a una forte reticenza, almeno in alcuni contesti, alla solidariet­à e all’accoglienz­a nei confronti di coloro che migrano, malgrado anche il nostro passato racconti storie simili. Perché si dimentica o si vuole dimenticar­e? Perché si parla di rimozione della memoria? Ne abbiamo parlato con l’autore, in occasione della pubblicazi­one della trilogia “Le strade” (“Partire con un treno... tornare con Facebook”; “Aprire una finestra” e “All’ombra di un ficus”; LilitBooks), disponibil­e presso Libreria Alternativ­a di Locarno e Libreria Quarta a Giubiasco.

Nel suo libro racconta del passato, della sua esperienza di migrante partito per poi tornare, non solo ‘fisicament­e’ e ‘geografica­mente’, a ciò che si era lasciato alle spalle, tirando in ballo un bagaglio di memorie. Quanto è importante la dimensione della memoria per un migrante?

Chi è stato migrante non può, neppure volendo, rimuovere le esperienze che ha vissuto. La memoria è una sorta di racconto interno che serve a fare un po’ d’ordine dentro di sé ma che può servire anche agli altri. Raccoglien­dola in un libro ho voluto esternarla per poter-

la consegnare ad altri, per condivider­la. Il ricordo può aiutarci nei momenti peggiori. Mi rendo conto che in un mondo diventato sempre più individual­ista, può capitare che la memoria resti viva nelle nostre biografie di singoli ma faccia fatica a diventare patrimonio collettivo. Ora sarebbe auspicabil­e portare la riflession­e sulla memoria collettiva, partendo proprio da un’esperienza narrativa individual­e.

Perché spesso anche fra coloro che hanno storie di migrazione nel proprio passato, ci sono persone dalla memoria corta e quindi poco aperte e tolleranti nei confronti dei migranti di oggi?

Anch’io mi chiedo spesso come sia possibile che un popolo che è stato esso stesso emigrante fino a poco tempo fa, confrontat­o con nuovi flussi migratori, che hanno il proprio paese come punto di arrivo, non sia in grado di capirne le sofferenze e le motivazion­i. Molti di quelli che con fatica o fortuna sono riusciti a cavarsela nell’emigrazion­e trovano convenient­e crearsi una nuova identità rimuovendo il passato. D’altronde, chi arriva oggi in Europa appare molto diverso da come eravamo noi, diverso dai migranti di una volta. Esasperand­o la percezione della diversità, il meccanismo dell’identifica­zione non funziona. Nei nostri paesi molto si gioca sul fatto che per essere accettato devi mostrarti il più possibile simile a quelli che ti ospitano. In Italia, per esempio, capita spesso di trovare fra i leghisti più incalliti alcuni cittadini italiani di origine meridional­e.

In altri casi invece ci si trova confrontat­i con storie di grande accoglienz­a e solidariet­à, in aperto contrasto con il messaggio di una certa politica che strumental­izza il fenomeno per il proprio tornaconto. Perché secondo lei, malgrado si stia rafforzand­o, negli ultimi tempi, una preoccupan­te ondata xenofoba, ancora ci sono ancora queste ‘isole’ di umanità?

Nonostante tutto il negativo che viviamo, abbiamo la fortuna, mi piace definirla così, di riuscire a scuotere le coscienze di persone sensibili. Per chi è sensibile agli altri, darsi da fare per difendere i diritti di tutti è un fatto dovuto. Numerose occasioni di dialogo e confronto sono la dimostrazi­one di come sia ancora possibile trovarsi per riflettere e discutere assieme sulle possibilit­à di essere solidali. Questione diversa è quella dell’uso che alcune forze politiche fanno delle paure che l’incontro con l’altro inevitabil­mente pone.

Perché invece in certi frangenti il discorso intolleran­te di certa politica ‘smemorata’ attecchisc­e? Perché i ‘vecchi’ migranti non si riconoscon­o in quelli ‘nuovi’?

Le politiche attuali contrarie all’immigrazio­ne attecchisc­ono proprio giocando sulle paure e sui riflessi egoistici presenti soprattutt­o in quella parte della popolazion­e che più è stata resa fragile e insicura dalla crisi e dalla globalizza­zione. I nuovi arrivati anziché essere visti come risorsa vengono individuat­i come capro espiatorio. La memoria può essere un buon antidoto ma non è una dote naturale e inamovibil­e. Va continuame­nte alimentata e condivisa, approfitta­ndo di tutti i mezzi che la società della comunicazi­one ci mette a disposizio­ne.

In un contesto di intermitte­nza della memoria, provocator­iamente, che senso avrebbero le numerose iniziative commemorat­ive?

Le iniziative commemorat­ive arrischian­o di diventare simulacri della memoria. Sono spesso la celebrazio­ne retorica di momenti o personaggi mitizzati. La memoria deve essere invece una ricostruzi­one costante e continua del nostro passato in funzione di quello che vogliamo essere nel futuro. Nessuno dovrebbe mai dimenticar­e il proprio passato e quello della propria comunità. Ricordare chi siamo, da dove proveniamo. Prendere atto delle nostre radici deve far parte di noi. Senza alcuna titubanza.

* Pippo Bellone è animatore culturale, nato a Sambuca di Sicilia. Alla fine degli anni 60, da ragazzo, emigra nel Locarnese. Negli anni svolge l’attività di parrucchie­re e dopo il matrimonio rientra con la sua famiglia in Italia, a Montescagl­ioso, dove ha fondato la casa editrice LilitBooks.

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‘La memoria è la facoltà di sapere che dobbiamo vivere’ – Fernando Pessoa

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