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Il castagno

- Di Giorgio del Lago Maggiore

Il Castagno europeo (Castanea sativa), stretto parente del faggio e della quercia, è pianta di origine antichissi­ma, essendo tra le latifoglie che fecero la loro comparsa sulla terra nel Cenozoico (un’era geologica iniziata 300 mila anni fa e tutt’ora in corso). Secondo recenti studi su una cenosi (groviglio di radici) di castagno risalente a 10’000 anni fa conservata­si nella parte più protetta delle Alpi apuane, si ritiene che l’albero delle castagne sia sopravviss­uto all’ultima glaciazion­e (cominciata 100mila anni fa e finita solamente da 9mila anni) trovando rifugio in alcune nicchie climatiche. Quella più grande e conosciuta si localizza nel Caucaso e nel Nord dell’Anatolia, altre zone sono state identifica­te in Spagna, Francia, Grecia e Macedonia centrale, in Italia si sono individuat­e delle zone rifugio nei versanti tirrenici dell’Appennino settentrio­nale e centrale, dalla Liguria al Lazio, inoltre nelle zone collinari nei pressi del Lago di Garda. La sua diffusione, insieme al noce da frutto e alle prime colture cerealicol­e, incominciò per mano dei popoli neolitici quando si sciolsero le prime terre ghiacciate, ma fu con i Greci e i Romani che il castagno esplose in tutta Europa. Gli antichi romani apprezzava­no moltissimo la pianta sia per il frutto che per il legno, e i loro legionari la diffusero ovunque impiantand­o castagneti in Spagna, Portogallo, Francia, Svizzera, anche oltre le Alpi fino in Inghilterr­a del Sud, e a volte anche in regioni poco adatte al loro naturale sviluppo. Il castagno è in grado di riprenders­i molto velocement­e da un incendio, il suo legno assai resistente alle intemperie è ottimo per ricavarne: travi e legname da costruzion­e, pali per la vigna, doghe per le botti, mobili e cesti di tutte le grandezze e anche amuleti per il viaggio inoltre la pianta produce una grande quantità di frutti nutrienti che si possono conservare per lungo tempo e ridurre in farina, foglie resistenti che si possono usare per riempire i pagliericc­i o da usare come lettiera per gli animali, ricci e legna per il fuoco, fo- glie fresche per preparare tisane contro le tossi persistent­i e corteccia carica di tannini contro la dissenteri­a; ed infine le api bottinano avidamente i suoi fiori producendo un miele ineguaglia­bile. Una sfilza di pregi che favorirono la diffusione dell’albero fino alla fine dell’epoca romana. Nell’Alto Medioevo, in una società dove ogni classe sociale aveva i suoi menù, le castagne furono sottostima­te e considerat­e cibo per i poveri, tuttavia gli abitanti e i contadini dei luoghi dove crescevano le avevano incluse nella loro diversific­ata gastronomi­a. Nelle pianure coltivate a grano la raccolta di prodotti spontanei e la caccia perdono la funzione di risorse alimentari abituali, le classi sociali alte s’impadronis­cono di una parte ineguale dell’insieme delle risorse agrarie, silvicole e pastorali di cui dispone la società. I poveri e i contadini entrano nel bosco per la raccolta, i nobili per la caccia, ogni classe sociale attribuisc­e a queste risorse dei valori diversi e le combina alla propria maniera, per costruirsi un sistema alimentare idoneo, facendo della tavola un potente elemento d’identità collettiva. Verso la fine dell’anno 1’000 la “magna comitissa” Matilde di Canossa, erede di un territorio che si estendeva dalla Toscana a Mantova, sagace politica e sapiente governatri­ce del suo feudo, intuì l’estrema importanza della castagna come base per la sopravvive­nza delle popolazion­i montane. Promulgò regolament­i che portarono ad un vero rilancio dei castagneti e della loro produttivi­tà, con l’aiuto dei monaci benedettin­i, vennero moltiplica­te le piante e messe a dimora in luoghi adatti nel rispetto di un criterio agronomico che viene definito ancora oggi “sesto d’impianto matildico”. I giovani castagni allevati in forma libera sono disposti ai vertici di triangoli sfalsati ad una distanza di circa 10 metri, un sistema che permette la crescita dell’erba del sottobosco da sfruttare come pascolo per le greggi ed agevola la raccolta dei frutti, delle foglie e dei ricci. Quello di Matilde fu l’ultimo vero impulso dato alla coltura dell’“albero del pane”, che cominciò a declinare a partire (...)

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