Con l’aspro stil vecchio
Segue da pagina 19 (…) che stimola il genio creativo del ventunenne Mozart a far evolvere il Concerto per pianoforte verso un dialogo equilibrato e nitido fra solista e orchestra, che confermerà nei capolavori degli anni successivi e diventerà una cifra mai uguagliata dell’arte mozartiana. Emelyanychev, nonostante un’esuberanza di salamelecchi che potrebbe evitare, mostra grosse potenzialità di direttore: non tiene il naso nella partitura, non batte il tempo, ha le idee chiare sui messaggi da passare all’orchestra. Le sue scelte interpretative tuttavia non mi hanno convinto, e mi sembra non hanno convinto il pubblico dell’Auditorio. È un adepto di quell’aspro stil vecchio chiamato filologia, problematico alquanto con un’orchestra moderna, nella quale i fiati non sono copie di strumenti antichi e gli archi non hanno corde di budello. Così ha presentato un Haydn appesantito da staccati e sforzati, appena alleggerito nel trio del minuetto, quando l’ottimo solista di violoncello ha suggerito un po’ di garbo ai colleghi. Ha appiattito Ravel, privando la sua musica delle sfumature dinamiche, che la rendono fluttuante, delle incertezze ritmiche che tengono desta la mente dell’ascoltatore, ha penalizzato anche l’ottimo solista di oboe, al quale la partitura assegna un ruolo trainante. In Mozart Emelyanychev si è rivelato un eccellente pianista, alla ricerca di una sobrietà e di un’asprezza clavicembalistiche. Il dialogo con l’ottima orchestra non è stato senza pecche, ma è ovvio che, per l’intesa fra il solista e l’orchestra senza direttore, i tre giorni di prove concessi a questi appuntamenti concertistici sono pochi. Comunque il pubblico ha riservato all’esecuzione mozartiana i consensi più calorosi, anche quelli trattenuti per Haydn e Ravel. Così è arrivato il bis: “Clair de lune” di Claude Debussy, il momento migliore del concerto. Qui Maxim Emelyanychev ha davvero incantato il pubblico, ha saputo fargli assaporare il “dolce stil novo” di Debussy.