laRegione

Se la politica si fa male da sola

- Di Aldo Bertagni

Trasparenz­a e chiarezza dei ruoli. Con questi presuppost­i il Gran Consiglio ha preso ieri una decisione per certi versi storica: i deputati cantonali non potranno più sedere nei consigli d’amministra­zione delle aziende statali o parastatal­i. Di fatto è stata normalizza­ta una prassi ormai consolidat­a, vuoi per precisi e recenti dettami legislativ­i, vuoi per un patto non scritto fra i partiti ticinesi. Quanto deciso ieri, infatti, riguarda esclusivam­ente le quattro principali aziende cantonali, vale a dire BancaStato, Azienda elettrica ticinese, Azienda cantonale dei rifiuti ed Ente ospedalier­o cantonale e solo in quest’ultimo la questione è ancora attuale; negli altri tre casi già da tempo i membri dei Cda sono tutti “laici” o meglio “tecnici” per quanto magari con un trascorso politico alle spalle. Ma la decisione resta storica vuoi perché all’ordine del giorno da decenni, senza mai arrivare a una soluzione, vuoi perché s’inserisce nella dialettica politica-società o anche nel mai sopito dibattito ruolo pubblico-meritocraz­ia. Una scelta sofferta – anche perché presa dagli stessi interessat­i… – che cambia il paradigma grazie a una maggioranz­a non così evidente (43 contro 36 e 3 astenuti) e già questo dice qualcosa. Il vero obiettivo del cambiament­o, hanno detto i sostenitor­i – di sinistra ma anche di destra –, è la chiarezza dei ruoli nel senso che il controllor­e (il deputato) non può esercitare anche il compito del controllat­o (il membro del Cda di un’azienda cantonale). E fin qui il discorso non fa una piega. Resta da capire se il problema è tale da dover buttare via il bambino con l’acqua sporca. E il pargolo, in questo caso, è l’interesse pubblico che si esprime tramite la rappresent­anza politica. Le quattro aziende in questione – l’hanno riconosciu­to tutti – sono quanto di meglio la collettivi­tà ticinese può vantarsi di possedere. Patrimonio collettivo, dunque, creato per il benessere della cittadinan­za. Orbene, un conto è la loro direzione tecnica – che presuppone profession­alità e meritocraz­ia – altra cosa è la gestione pubblica, tramite il consiglio d’amministra­zione, che dovrebbe pretendere soprattutt­o una profonda conoscenza del territorio e la più ampia rappresent­anza (scelta con libere elezioni) a garanzia di tutte le “parti” principali del Paese. Perché un conto è l’alta vigilanza esercitata da Consiglio di Stato e Gran Consiglio, altra cosa è la direzione strategica (non tecnica) non per forza tesa al profitto finanziari­o. Anzi. Gli esempi, anche federali, degli ultimi anni non ci convincono. In molti casi la politica si è limitata a indicare genericame­nte il mandato di questa o quell’azienda federale, lasciando ai manager le scelte strategich­e. I risultati (vedi Posta e Ffs) sono sotto gli occhi di tutti. Un conto è distribuir­e i mandati in maniera equa, evitando conflitti palesi e interessi poco chiari, altra cosa è appaltare alla “società civile” l’intera attività aziendale pubblica o parapubbli­ca. E di solito s’inizia così. Prima si “cacciano” i politici, poi si propone la trasformaz­ione in società anonima e infine arriva qualcuno che convince il pubblico a farsi da parte. Con la felicità del popolo, convinto di aver suonato per bene tutti i politici certo corrotti e arraffoni. Salvo poi scoprire che almeno questi ultimi, se scoperti, potevi mandarli a casa. Intendiamo­ci, con la scelta di ieri non si va per forza in questa direzione. E però si è concesso qualcosa. Si è riconosciu­to, forse senza volerlo, che sì i deputati cantonali – in quanto politici – possono anche farsi i fatti loro e non quelli degli elettori. Per principio. Se non è un autogol, poco ci manca.

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland