Il cancro alle spalle a colpi di sciabola
Iris, Cristina e Lucia: ‘moschettiere’ che hanno imparato a tirar di scherma dopo un tumore al seno. ‘Non la conoscevamo, quanto bene ci ha fatto!’. L’idea dell’associazione Vales prende spunto da un progetto francese, che usa questa disciplina come riabi
La storia di Iris, Cristina e Lucia, diventate ‘moschettiere’ dopo la malattia grazie al progetto di Lugano Scherma, che propone lo sport come riabilitazione dopo un tumore al seno.
Contro l’avversario, un osso duro, hanno già combattuto. Lo hanno fatto sul serio e il duello lo hanno vinto loro. Iris, Lucia e Cristina non avrebbero mai voluto doverlo affrontare; ma da quella lotta, pur se un po’ incerottate, sono uscite più forti e unite. Il cancro le ha fatte diventare una squadra. Tre moschettieri al femminile, che hanno deciso di andare incontro a una seconda vita anche a colpi di sciabola; indosso una semplice maglietta giallo-sole, ‘Anna’ stampato in rosa sulla schiena. «Abbiamo scelto noi carattere e colore», dice Iris con un sorriso grande così. Ha i capelli corti, come Cristina, come Lucia. Come tante Anne («tra di noi ci chiamiamo spesso così»), donne che condividono un percorso per le quali il Centro di Senologia della Svizzera italiana ha dato vita al gruppo giovani pazienti (v. articolo a fianco). Prima di affrontare un nemico che ancora molte persone faticano a chiamare col suo nome, alcune i capelli li portavano più lunghi. Poi la diagnosi – tumore al seno – e tutto il ‘corollario’ di cure. «Me lo ricordo come fosse ieri, il giorno in cui ho saputo». Più delle parole, è la voce di Cristina a colpire. Le circa 350 donne che ogni anno s’ammalano lo sanno: quel momento resta impresso nella memoria, come marchiato sulla pelle. Il momento di Cristina s’intreccia con quello di Iris, che nei capelli biondi ha sfumature di rosa e chissà se è un vezzo o un richiamo al colore simbolo della lotta contro questa malattia.
‘In guardia. E ora posizione d’attacco’
Iris e Cristina, entrambe del Bellinzonese, si conoscevano «ma non eravamo amiche». Non ancora. «Nel giugno 2013 – racconta Cristina – ho incontrato Iris al bar dell’ospedale: era con il marito e portava il foulard in testa; stava terminando la chemioterapia. Il caso ha voluto che il giorno seguente io avessi una mammografia, il cui esito non fu quello sperato. Così iniziò il mio percorso». Con ‘Anna dai Capelli Corti’, prosegue Iris, «ne abbiamo fatte di cose in un anno». Per Lucia ogni incontro è un momento «in cui ci confrontiamo»; Cristina spiega che «nel gruppo non ti senti sola e ci scambiamo i nostri stati d’animo». Anche se, precisano in coro, il tumore non è il solo argomento di cui discutono. Anzi hanno proprio voglia di altro. Sedute al tavolo di un bar, raccontano alternando emozione, pudore, sorrisi, smorfie. Ricordano le escursioni accompagnate da Romolo Nottaris, che considerano un ‘padrino’. «Ci ha fatto capire – spiega Lucia – che anche in una malattia, come è per le escursioni in montagna, la salita è dura. La cima è la fine delle terapie, poi comincia la discesa che può essere anche più impegnativa, poiché sulle spalle si porta uno zaino pesante, con dentro cure, ope- razione, dolori, paure». Nella strada che riconduce alla vita Iris, Cristina e Lucia stanno ancora affrontando la discesa o hanno raggiunto un sentiero più dolce? Ci pensano molto prima di rispondere. Lo fa prima Iris, che dice di sentire d’essere arrivata in pianura; così come Lucia, «ma dopo una discesa non facilissima». Cristina esita. Deve ancora sottoporsi ad analisi mediche ravvicinate, sta «bene, ma lo stress psicologico dei controlli non mi dà pace ed è come camminare su un terreno che alterna salite a discese. Vorrei sentirmi dire ‘ci vediamo l’anno prossimo’. Basterebbe questo...». A febbraio erano salite su un’immaginaria pedana per lanciarsi in uno sport che nessuna conosceva, se non per qualche immagine vista in tv. Una nuova sfida più che altro con loro stesse; affrontata a muso duro e soprattutto col sorriso di chi sa bene che le battaglie che contano sono altre. Sfida di cui nessuna si è mai pentita, tanto che tutte hanno deciso di seguire il nuovo corso che parte oggi. «È uno sport che mi piace tantissimo», conferma una Iris dal viso raggiante che non lascia dubbi. Per Cristina, inizialmente «molto scettica», è stata «una bella scoperta e i timori sono svaniti già alla prima lezione. Ho pure migliorato la postura: dopo l’intervento chirurgico tendevo ad ‘accartocciarmi’ e la scherma m’ha aiutata ad aprirmi»; mentre Lucia ha tratto «sollievo al braccio dal lato operato, che a volte ha problemi di gonfiore o ritenzione idrica». Il beneficio maggiore è però forse quello dipinto sul loro volto, un misto di gioia (tanta), grinta (quella giusta), spensieratezza (quanti sorrisi!) e fierezza (di essere state più tenaci dell’avversario che molti non osano nominare). Quando tirano di sciabola, dicono, non pensano a nulla. «Non pensiamo a nulla – ripetono, e intuisci quanto faccia loro bene; un po’ come quando si esce in un mattino d’inverno e si sente l’aria frizzante sulle guance, dopo giorni chiusi in casa – e ci sfoghiamo». Non è però un’ora e mezza di ricreazione. Si capisce dal piglio con cui entrano in scena tra pesi, minitramp e attrezzi nell’angolo di palestra messo a disposizione gratuitamente dal Free Time Club Lugano (quanta fatica a trovare uno spazio!, bisbiglia durante gli esercizi di stretching delle Anne il fisioterapista Roberto Bianchini, responsabile del progetto, oggi qui come osservatore). Concentrate, seguono la maestra mentre impartisce le indicazioni con un sorriso – sì, anche lei – largo così. ‘Andiamo in quarta posizione. In quinta. In seconda’. Si resta incantati nel vedere queste tre donne dalle storie simili eppur diverse, muoversi come un corpo solo. ‘In guardia. Rotazione. A fondo’. Mano su un fianco, sguardo serio, sorriso. Un altro, uno dei tanti. Perché la strada non sarà sempre in pianura, nemmeno ora che il peggio è alle loro spalle. Ne sono coscienti e però sono felici, perché «da questo percorso difficile abbiamo tratto qualcosa di bello». Lo chiamano legame, noi lo si legge forza. ‘Posizione di attacco!’.