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L’orologeria rivede la luce

Il settore ha conosciuto un periodo molto difficile ma il peggio è alle spalle L’export ha ripreso a crescere dopo venti mesi in calo. È la tradizione a trainare i marchi dello swiss made.

- Di Generoso Chiaradonn­a

Circa 3mila addetti; 23 aziende e oltre 10 milioni di pezzi assemblati ogni anno. Stiamo parlando del settore orologiero ticinese che fa parte comunque a pieno titolo della tradizione orologiera svizzera. Una realtà più piccola rispetto a quella del resto del Paese, soprattutt­o in Romandia, ma che contribuis­ce al tessuto industrial­e locale. E proprio per avere maggiore visibilità e dare al settore una presenza più organica sulla scena cantonale, circa tre anni fa è stata costituita l’Atio (Associazio­ne ticinese industria orologiera) presieduta da Oliviero Pesenti. Uno degli obiettivi dell’organizzaz­ione era quello di aver un centro di formazione per il personale del settore. Obiettivo raggiunto lo scorso giugno con l’apertura del centro di Giubiasco nello stesso stabile che ospita la Forbo. «A differenza di qualche anno fa, oggi in Ticino avvengono tutte le fasi di progettazi­one e costruzion­e di un orologio e Atio con il nuovo Centro ambisce a creare una formazione continua moderna per l’orologeria, senza creare sovrapposi­zioni con l’apprendist­ato, ma avvalendos­i del materiale didattico formativo e delle strutture già esistenti e aprendosi nel contempo a eventuali sostegni canto-

nali e federali», afferma il presidente Pesenti. Ma dove sta andando il settore orologiero svizzero e di conseguenz­a quello ticinese legato a doppio filo alle dinamiche nazionali e internazio­nali? Le tendenze sono state tratteggia­te nel sesto studio che la società di consulenza Deloitte dal 2012 dedica al settore.

Innanzitut­to a livello nazionale, dopo molti mesi di cifre al ribasso, l’orologeria sta ritrovando l’ottimismo perduto. «Le esportazio­ni hanno raggiunto un valore di 5 miliardi di franchi alla fine del secondo trimestre del 2017 contro i 4,8 miliardi dello stesso periodo dell’anno precedente», ha spiegato Jules Boudrand, direttore di Deloitte e autore dello studio 2017, ricordando che ci sono dei segnali di ripresa iniziati alla fine di marzo di quest’anno e che dovrebbero continuare per il resto dell’anno. A titolo di paragone ricordiamo che a fine 2014 l’export orologiero ammontava a oltre 22 miliardi di franchi. Due anni dopo mancavano all’appello circa 3 miliardi (19,4 miliardi). Tutti i mercati stanno mostrando segni di ripresa con la Cina che ha fatto rilevare, sempre nel secondo trimestre, un +19% e l’Europa un +9 per cento. A sorpresa, però, sono gli orologi meccanici a crescere di più (+4%) rispetto a quelli al quarzo (-21 per cento).

Il lusso vince sugli smartwatch

Un’altra sorpresa riguarda gli smartwatch, ovvero gli orologi ‘sempre connessi’. Apple domina il mercato ma i dirigenti svizzeri sentiti da Deloitte non consideran­o questo gadget una minaccia al loro business. La grande maggioranz­a (72%) non prevede un impatto sulle vendite, mentre il 14% li considera un’opportunit­à. Alcuni marchi di lusso come Montblanc e Louis Vuitton hanno lanciato modelli di smartwatch con l’obiettivo di fidelizzar­e la nuova clientela attratta dal marchio e da prezzi abbordabil­i. E i millennial continuera­nno a comprare la tradizione rispetto all’innovazion­e? Secondo l’indagine Deloitte sì, visto che chi ha un budget di 5mila franchi preferireb­be acquistare un orologio di lusso invece di uno smartwatch da 500 franchi ogni anno per i prossimi 10 anni.

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Oliviero Pesenti (sinistra), Jules Boudrand e Luciano Monga (Deloitte Lugano)

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