laRegione

Una comunità allo specchio

- di Matteo Ferrari

Segue da pagina 17 (...) posano sapienteme­nte distribuit­i i partecipan­ti alla giornata. Un intero paese in posa dopo una mattinata di marcia e di preghiere: alcuni abbozzano un sorriso, altri posano fieri e immobili, altri ancora, contagiati dalla sacralità del momento, ostentano una ferma compostezz­a, creduta di rigore, forse, in un giorno come quello. Le donne con la continenza a coprire i capelli, gli uomini con l’abito della festa. Sono in tutto due centinaia di occhi, che fissano il fotografo e la sua macchina. Oggi scrutano chiunque guardi la fotografia con l’energia dirompente che solo la compattezz­a di un’intera comunità può sprigionar­e. Forse è per questo che l’osservator­e si sente risucchiat­o dalla forza magnetica dell’immagine. Colpisce anzitutto la fuga prospettic­a che fa scivolare lo sguardo verso il fondo, dove sale, nascosta dai presenti, la mulattiera, che in quest’ultimo tratto sarà sostituita dalla strada asfaltata soltanto sul calare degli anni Cinquanta. Nel punto di mas- simo affollamen­to i corpi finiscono per sovrappors­i, e solo osservando con attenzione è possibile rendersi conto di quante siano realmente le persone immortalat­e. Dove l’occhio corre verso l’addensarsi dei fedeli sta, contorniat­o dai suoi parrocchia­ni, proprio don Giuseppe. A poca distanza da lui, in quell’assiepamen­to di teste, con giacca chiara e baffetti si affaccia il maestro del villaggio, Fridolino Dalessi. La democrazia dello scatto li ha amalgamati agli altri, contadini, caprai, persone semplici, come quel Piero Selva che compare invece in seconda fila, sulla destra di chi guarda, con basco, baffetti e sguardo fisso. È l’ultimo in paese a portare quel cognome; chissà se ne era cosciente? Appena dietro, lambito nell’immagine dal più piccolo dei due crocifissi, Adeodato Martini, anni trentasei, panettiere del villaggio. Manca la moglie Maria, nata Balli, scesa con tutta probabilit­à a preparare il pranzo a Sonlerto, dove la procession­e era solita sciogliers­i. Con lei altre donne di Cavergno, mogli e madri già richiamate dai focolari, ognuna con la propria dote di bocche da sfamare. Adeodato e Maria, al momento a quota sei, avranno in tutto otto figli. I due maggiori si vedono in basso a sinistra: sono Plinio, lo scrittore, che allora aveva quasi otto anni e che quattro decenni più tardi avrebbe raccontato questa gente nelle sue opere letterarie, e il fratello Giuseppe, di un anno maggiore. Plinio è in prima fila, secondo da sinistra, Giuseppe subito dietro, con il berretto e i calzoni alla zuava. Tra poco una porzione di polenta ricompense­rà della levataccia loro e gli altri partecipan­ti alla procession­e. Un pasto forse non regale, ma certo di festa in quel mondo abituato agli stenti. Una povertà sconosciut­a a chi oggi vede nello specchio di questo scatto il proprio passato, nascosta non cancellata dalla sobria dignità che l’immagine, a distanza di anni, continua a emanare.

(Domani alle 18.15 alla Biblioteca cantonale di Locarno Matteo Ferrari e Mattia Pini presentera­nno la recente riedizione commentata de ‘Il fondo del sacco’ di Plinio Martini).

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