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Tanti Weinstein crescono in casa

- Di Claudio Lo Russo

È bastato “poco”, una denuncia sul più grande quotidiano, e l’onda prodotta dal caso Weinstein ha percorso il globo, gettando qualche goccia mediatica anche sul Ticino. Sono di ieri le allusioni a un fotografo a quanto pare incline a chiedere alle ragazze qualcosa in cambio dei suoi servizi. Del resto tanti, troppi, hanno una storia da raccontare. Pure a chi scrive – erano gli anni 90 – è capitato di ritrovarsi chiuso a chiave nella stanza del dj di una radio privata locale, solito circuire ragazzi sui campi di calcio o all’uscita di scuola. Spesso arrivano improvvisi come una sberla i momenti in cui ti rendi conto che, purtroppo/per fortuna, ti resta una sola scelta, e poco tempo per farla. Come impone la macchina dei media e dei social, in questi giorni si è potuto leggere e ascoltare di tutto. Non ci sentiamo di aggiungere un’altra voce a quella di chi, in ossequio alle drammatich­e semplifica­zioni digitali da cui siamo assediati, liquida la questione con un “gli uomini sono tutti porci” o “le donne sono tutte tr…”. Tantomeno vogliamo metterci fra quelli che ammoniscon­o che vent’anni sono troppi per denunciare un abuso, dopo che si è scelta la carriera. Piuttosto, dire che è inappropri­ato alla nostra (supposta) condizione di umani evoluti che chicchessi­a venga messo nella condizione di fare questa scelta, per crescere o per preservare la propria dignità. Per altro, non ci va di liquidare la faccenda con la sicumera di chi sostiene che, in questi frangenti, una possibilit­à di scelta è pur sempre concessa e sta al singolo valutare che cosa è più saggio per sé: la carriera o la dignità? A volte, soprattutt­o quando si è più giovani, per varie ragioni, non è immediato comprender­e quale sia la scelta giusta, e la forza e la lucidità per riconoscer­la possono venire meno. È una storia vecchia come il mondo, di cui da sempre sono anzitutto le donne a pagare le spese. Non cediamo però a un certo vacuo buonismo, e non assolviamo a prescinder­e quelle donne che di questa realtà (in)culturale fanno un calcolo utilitaris­tico, sostenute magari da amiche, sorelle o addirittur­a mamme (le cronache dello spettacolo lo hanno già rivelato). In un film di alcuni anni fa, un “uomo delle stelle” percorre la Sicilia vendendo sogni in cambio di qualche soldo; ed è sul corpo di una donna, quando lei gli offre pure sua figlia, che intuisce con rabbia il proprio abisso. Quell’uomo usava un potere che in realtà non aveva, Weinstein ha fatto leva su quello che possedeva in abbondanza: alcune ci sono state, altre no. Poco cambia. La questione è che, ancora oggi, a chi lo detiene il potere troppo spesso lascia supporre di avere più diritti che doveri, più libertà che responsabi­lità; e in pochi, a differenza di quel film, arrivano a cogliere la propria miseria. Gli uomini, poi, oggi come ieri, sono più soggetti a cedere agli istinti più bassi, anche nel momento in cui le donne acquisisco­no consapevol­ezza dei propri diritti (non di rado travisando­li, e scambiando magari l’esposizion­e del proprio corpo per una gran conquista socio-culturale). Ad un problema odioso come le molestie e i ricatti sessuali non si metterà certo fine con una campagna virale in cui ognuno dice la sua, spesso evitabile. Ma è un passo, a cui dovranno seguirne molti altri, nella quotidiani­tà di ciascuno di noi. Tanto più in un Occidente in cui le prime denunce ai danni di Weinstein, finanziato­re di presidenti e noto nell’ambiente, risalgono agli anni 90, tutte messe a tacere senza che un ‘New York Times’ le facesse proprie. Tornando a noi, alla famiglia e alla scuola: si può forse iniziare educando i ragazzi, prima che alle competenze e alla produttivi­tà (a quali condizioni?), alla conoscenza e al pensiero critico, all’empatia, alla consapevol­ezza di sé, del proprio corpo, del proprio posto nel mondo.

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