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‘Interessi politici dietro la macchina del fango’

- Oswaldo Formato

«Piaccia o non piaccia al ‘Corriere del Ticino’, senza Unia, o meglio senza i 22mila lavoratori che attraverso il nostro sindacato rivendican­o i propri diritti, questa brutta storia legata ad Argo 1, con annessi e connessi, non sarebbe mai venuta alla luce. Ne sono certo». Oswaldo Formato, 59 anni appena compiuti, referente in seno a Unia del settore agenzie di sicurezza respinge con fermezza (e altrettant­o fa il sindacato con una nota stampa) le pesanti insinuazio­ni del foglio di Muzzano. Insinuazio­ni sintetizza­te nel titolo a un servizio sul caso Argo 1 pubblicato ieri a pagina 7: “La sicurezza e gli infiltrati targati Unia”.

Ci va giù duro il quotidiano luganese.

L’infiltrato viene pagato da qualcuno perché ‘sotto copertura’ raccolga, in un determinat­o contesto, delle informazio­ni e le fornisca a chi lo ha assoldato. Unia però non ha pagato e non paga nessuno. Non abbiamo infiltrati. Semmai è il sindacato e i suoi collaborat­ori che vengono pagati da persone perché si vedano tutelati i loro diritti di lavoratori e lavoratric­i. Insomma in qualche redazione un ripasso dell’italiano sarebbe opportuno. Così come sarebbe opportuno ricordare come sono andate le cose.

Prego.

Unia si è occupata di Argo 1 fin dalla costituzio­ne della ditta, avvenuta formalment­e a fine 2014. E sin dall’inizio sapevamo che in questa agenzia privata di sicurezza, sorta praticamen­te dal nulla, c’erano delle cose che non funzionava­no a livello salariale. Per esempio, tutti gli agenti erano stati assunti con un contratto C, che prevede un massimo di 900 ore all’anno. Ma con quello che dovevano fare in Argo 1, era impossibil­e lavorare solo 900 ore all’anno. Tant’è che di questa e di altre irregolari­tà avevamo informato, per due anni di seguito, la Commission­e paritetica chiedendol­e di intervenir­e. E a un certo punto si è mossa, scrivendo e ponendo delle domande alla ditta, ma senza ricevere mai risposta. Sapevamo anche che tra i dipendenti dell’Argo 1 vi erano dei nostri associati. Degli infiltrati involontar­i? (ride). Battuta a parte, faccio presente che la riservatez­za è una delle regole principali anche nel settore della sicurezza privata. A un certo punto però questi tre agenti affiliati a Unia mi hanno, singolarme­nte, interpella­to non sopportand­o più il malandazzo nella ditta. Mi hanno così parlato di lavoro nero, di mancati rimborsi spese per trasferte, ma anche del giovane richiedent­e l’asilo ammanettat­o per delle ore al palo della doccia al centro d’accoglienz­a di Camorino sorvegliat­o da Argo 1. Ho allora segnalato il tutto al Ministero pubblico. Questo accadeva pochi giorni prima del blitz della polizia federale.

Come se le spiega allora le insinuazio­ni del CdT?

Con un meccanismo. Quello della macchina del fango. Un giorno si getta discredito su un nostro associato, che a viso scoperto e con nome e cognome ha raccontato alla trasmissio­ne ‘Falò’ la sua esperienza lavorativa in Argo 1 denunciand­o quelle che secondo lui erano delle irregolari­tà. E il giorno dopo si getta discredito su un altro nostro affiliato, anch’egli ex agente di Argo 1: una persona onesta e capace che mi aveva chiesto di verificare la sua busta paga e il montante ore. Preciso che i due associati a Unia facevano parte del terzetto che mi aveva a suo tempo interpella­to.

Secondo lei chi aziona realmente la macchina del fango?

L’ex amministra­tore e l’ex responsabi­le operativo della Argo 1 hanno avuto accesso agli atti dell’inchiesta penale, ma non credo siano così potenti da condiziona­re le scelte del CdT. Sono piuttosto dell’idea, anzi ne sono convinto, che dietro a questa macchina ci siano degli interessi politici convergent­i.

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