laRegione

Nuove Officine, il nodo strategico

Il Consiglio di Stato ritiene che entrando in materia sull’ipotesi Castione si possa ottenere di più dalle Ffs A mente delle maestranze non si può invece scendere sotto determinat­e condizioni: volumi per 400 operai. Manca lavoro? ‘Altrove ce n’è fin tropp

- Di Mattia Cavaliere

Il dibattito sulle nuove Officine Ffs si è spostato su un altro binario, diplomatic­o, più che politico. È la conclusion­e che si può trarre dall’incontro tenutosi ieri a Palazzo governativ­o col Comitato ‘Giù le mani’ per conto delle maestranze, e dall’altra il Consiglio di Stato rappresent­ato dal presidente Manuele Bertoli, dai colleghi Christian Vitta e Claudio Zali. Un’occasione, nelle attese dei lavoratori, per fare presenti i propri timori al governo e ottenere rassicuraz­ioni sui posti di lavoro. Dalle discussion­i è però emersa una diversità di approccio nei confronti dell’ex regia, che ha portato una certa delusione tra gli operai, i quali hanno anche denunciato una mancanza di strategia da parte del Consiglio di Stato di fronte agli scenari attualment­e al vaglio (vedi ‘laRegione’ del 3 ottobre): status quo (mantenimen­to delle attuali Officine coi rischi annessi) per un investimen­to di 100 milioni di franchi, ‘Prato verde’ col trasferime­nto in una zona da stabilire (Castione in ‘pole’) per 355 milioni di franchi, ottimizzaz­ione della sede attuale per 130 milioni e chiusura delle Officine (per un costo di 70 milioni). La questione principale, affrontata ieri, e vero punto della discordia era quella a sapere quale posizione assumere riguardo allo scenario di un nuovo stabilimen­to (a Castione) con ‘soli’ 200 operai, la metà degli attuali dipendenti delle Officine: troppo poco per le maestranze spalleggia­te ieri a Palazzo civico dai sindacati Unia e Sev, convinti che non si debba scendere sotto volumi di lavoro di 400mila ore; un punto di partenza per giungere a ulteriori risultati, invece, a mente del governo, disposto quindi a entrare nel merito di uno spostament­o delle Officine, piuttosto che rischiare la definitiva chiusura delle Officine; ipotesi peraltro preferita, dal profilo economico, dalla casa madre, stando almeno a un loro documento interno (cfr. con ‘laRegione’ del 3 ottobre).

Si specula sugli appoggi politici di cui necessiter­ebbero le ferrovie

Dicevamo del dibattito dirottato su un binario diplomatic­o, vediamo perché limitandoc­i alla sola ipotesi della nuova struttura. Il governo stima che la compagnia di trasporti avrà bisogno di un sostegno delle autorità e non solo finanziari­o (si pensa che la richiesta di sostegno al Consiglio di Stato sia di 100 milioni di franchi). Una nuova sede – su un terreno da acquisire – richiede infatti l’avvio di una procedura edilizia e, prima ancora, di cambiament­i pianificat­ori che possono comportare tempi lunghi. In questo contesto il governo

conta, speculando sulla richiesta di appoggi sul piano comunale e cantonale, di riuscire a ottenere qualche garanzia (impiego) in più dalle Ffs. È una partita giocata però sul filo di lana, se non altro perché il Consiglio di Stato si trova confrontat­o con un importante partner, nello sviluppo della mobilità, parlando

di investimen­ti infrastrut­turali e con tutti gli impieghi sul territorio. Dall’altra parte ci sono loro, i 400 operai, i quali temono di essere sacrificat­i sull’altare di interessi speculativ­i (i terreni delle Officine fanno gola). E ritengono – dallo sciopero – che solo assumendo posizioni chiare possono ottenere risultati.

‘A Yverdon si lavora 12 ore al giorno’

Ma siamo proprio sicuri che ci sia davvero lavoro per tutti, anche per una (nuova) Officina in Ticino? Sì, rispondono con fermezza gli operai. A Yverdon, dicono, in certi reparti si lavora più di 10 ore al dì, pure la domenica.

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TI-PRESS Il loro slogan, sempre lo stesso: ‘Resistere, resistere, resistere’

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