Nuove Officine, il nodo strategico
Il Consiglio di Stato ritiene che entrando in materia sull’ipotesi Castione si possa ottenere di più dalle Ffs A mente delle maestranze non si può invece scendere sotto determinate condizioni: volumi per 400 operai. Manca lavoro? ‘Altrove ce n’è fin tropp
Il dibattito sulle nuove Officine Ffs si è spostato su un altro binario, diplomatico, più che politico. È la conclusione che si può trarre dall’incontro tenutosi ieri a Palazzo governativo col Comitato ‘Giù le mani’ per conto delle maestranze, e dall’altra il Consiglio di Stato rappresentato dal presidente Manuele Bertoli, dai colleghi Christian Vitta e Claudio Zali. Un’occasione, nelle attese dei lavoratori, per fare presenti i propri timori al governo e ottenere rassicurazioni sui posti di lavoro. Dalle discussioni è però emersa una diversità di approccio nei confronti dell’ex regia, che ha portato una certa delusione tra gli operai, i quali hanno anche denunciato una mancanza di strategia da parte del Consiglio di Stato di fronte agli scenari attualmente al vaglio (vedi ‘laRegione’ del 3 ottobre): status quo (mantenimento delle attuali Officine coi rischi annessi) per un investimento di 100 milioni di franchi, ‘Prato verde’ col trasferimento in una zona da stabilire (Castione in ‘pole’) per 355 milioni di franchi, ottimizzazione della sede attuale per 130 milioni e chiusura delle Officine (per un costo di 70 milioni). La questione principale, affrontata ieri, e vero punto della discordia era quella a sapere quale posizione assumere riguardo allo scenario di un nuovo stabilimento (a Castione) con ‘soli’ 200 operai, la metà degli attuali dipendenti delle Officine: troppo poco per le maestranze spalleggiate ieri a Palazzo civico dai sindacati Unia e Sev, convinti che non si debba scendere sotto volumi di lavoro di 400mila ore; un punto di partenza per giungere a ulteriori risultati, invece, a mente del governo, disposto quindi a entrare nel merito di uno spostamento delle Officine, piuttosto che rischiare la definitiva chiusura delle Officine; ipotesi peraltro preferita, dal profilo economico, dalla casa madre, stando almeno a un loro documento interno (cfr. con ‘laRegione’ del 3 ottobre).
Si specula sugli appoggi politici di cui necessiterebbero le ferrovie
Dicevamo del dibattito dirottato su un binario diplomatico, vediamo perché limitandoci alla sola ipotesi della nuova struttura. Il governo stima che la compagnia di trasporti avrà bisogno di un sostegno delle autorità e non solo finanziario (si pensa che la richiesta di sostegno al Consiglio di Stato sia di 100 milioni di franchi). Una nuova sede – su un terreno da acquisire – richiede infatti l’avvio di una procedura edilizia e, prima ancora, di cambiamenti pianificatori che possono comportare tempi lunghi. In questo contesto il governo
conta, speculando sulla richiesta di appoggi sul piano comunale e cantonale, di riuscire a ottenere qualche garanzia (impiego) in più dalle Ffs. È una partita giocata però sul filo di lana, se non altro perché il Consiglio di Stato si trova confrontato con un importante partner, nello sviluppo della mobilità, parlando
di investimenti infrastrutturali e con tutti gli impieghi sul territorio. Dall’altra parte ci sono loro, i 400 operai, i quali temono di essere sacrificati sull’altare di interessi speculativi (i terreni delle Officine fanno gola). E ritengono – dallo sciopero – che solo assumendo posizioni chiare possono ottenere risultati.
‘A Yverdon si lavora 12 ore al giorno’
Ma siamo proprio sicuri che ci sia davvero lavoro per tutti, anche per una (nuova) Officina in Ticino? Sì, rispondono con fermezza gli operai. A Yverdon, dicono, in certi reparti si lavora più di 10 ore al dì, pure la domenica.