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Povertà nascoste

In Ticino (come nel resto della Svizzera) se ne parla poco. Eppure c’è; e chi opera sul fronte del sociale la riconosce giorno dopo giorno nelle persone che incontra. In occasione della Giornata mondiale contro la povertà, la Fondazione Casa Astra ha volu

- di Daniela Carugati

Po-ver-tà: possono bastare tre sillabe per mettere ai margini la vita di una persona. In Ticino, come in Svizzera, se ne parla poco. In realtà anche i ricercator­i non se ne occupano un granché. Eppure i numeri (almeno quelli che ci sono) tratteggia­no un fenomeno sociale che risulta difficile da ignorare. Soprattutt­o a fronte di nuove dinamiche lavorative che non fanno altro che allungare la fila degli uomini e delle donne che rischiano di finire sotto la soglia del minimo vitale. A squarciare il velo sulla situazione ticinese, all’indomani della Giornata mondiale contro la povertà, ci ha pensato una giovane studiosa, Cinzia Frei, che ne ha fatto il tema della sua tesi di laurea magistrale. Il risultato è una fotografia nitida e cruda della realtà locale. Di un Ticino, come spiega la stessa autrice, nel quale «non si sa dove sia il bisogno, né di che tipo sia». La po- vertà intercetta­ta da Cinzia Frei, infatti, ha diversi volti e più fattori scatenanti; e mostra l’esigenza di un intervento globale di presa a carico. Una rete di sostegno che a sud delle Alpi, al momento, trova in Casa Astra, da due anni a Mendrisio, l’unico punto di riferiment­o per chi è senza dimora. Non è un caso, ieri, aver scelto proprio il centro di accoglienz­a di via Rinaldi per gettare un cono di luce su un mondo abitualmen­te in ombra. E non è casuale che sia stata la Fondazione Casa Astra, presieduta da Marina Carobbio, a dare visibilità al lavoro di questa giovane donna e alla necessità di sensibiliz­zare la popolazion­e sugli spaccati di indigenza ed emarginazi­one che incontriam­o (quasi) sulla porta di casa. In effetti, raddoppiat­i i posti letto – ora 24 e adeguati anche a ospitare donne e bambini –, Casa Astra ha visto lievitare il numero di notti offerte nello spazio di un anno (6’534 nel 2016), con un soggiorno medio di 52 giorni. E quest’anno l’andamento risulta essere simile. Del resto, tra le 126 persone accolte, come ci fa notare il direttore Donato Di Blasi, figurano cittadini svizzeri come stranieri, persone partite alla ventura dall’Italia o giunte più da lontano. Ecco che a dare una possibilit­à è l’accompagna­mento ricevuto da chi si trova in difficoltà e senza una prospettiv­a di futuro. «Fornire un alloggio – esemplific­a Cinzia Frei – non basta. Va individuat­o un percorso educativo di riappropri­azione dell’identità, come avviene nella struttura di Mendrisio. Struttura che, però – osserva –, riceve un importo massimo riconosciu­to di fatto inferiore agli alberghi, e senza alcun motivo apparente». Come evidenzia ancora la ricercatri­ce, sono otto gli «ambiti problemati­ci» che portano una persona a entrare nella spirale della povertà: una malattia improvvisa, l’indebitame­nto (in aumento e preoccupan­te fra i giovani), l’immigrazio­ne, il lavoro poco remunerato (che alimenta i cosiddetti ‘working poor’), la tossicodip­endenza, i collocamen­ti durante l’infanzia, la monogenito­rialità e lo statuto di indipenden­te. Insomma, non avere un’occupazion­e o percepire un salario troppo basso, dover crescere un figlio da soli o vivere un periodo di crisi può rendere poveri e trasformar­e in un senza dimora. «Più studi – rende attenti l’autrice della tesi – hanno rilevato un collegamen­to tra neoliberis­mo, flessibili­tà e nuove forme di povertà. E non sappiamo dove ci porterà questa situazione». Sul piano istituzion­ale tocca ai Cantoni lottare contro queste realtà. Concretame­nte cosa si potrebbe fare? «Da anni – risponde Cinzia Frei – si auspica la creazione di uno sportello unico per le prestazion­i di aiuto. Ciò darebbe modo di diminuire il senso di frustrazio­ne di persone che dimostrano di essere poco a conoscenza dei loro diritti e che avrebbero bisogno, almeno in un primo tempo, di mantenere l’anonimato. In tal senso un numero verde potrebbe dare una mano. Servirebbe altresì cambiare mentalità nelle persone, cancelland­o l’onta di rivolgersi ai servizi sociali e intervenen­do tempestiva­mente. Così da evitare di cronicizza­re le situazioni». Sul campo si confida di poter replicare l’esperienza di Casa Astra. Il Movimento dei Senza voce ci sta provando a Bellinzona con il progetto di Casa Marta.

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TI-PRESS/INFOGRAFIC­A LAREGIONE I dati a disposizio­ne fanno riflettere

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