Un artista eclettico
‘Il paradiso di Cuno Amiet’ celebra da sabato a Mendrisio il lavoro del pittore svizzero
Si può discutere sulle scelte e sui dettagli dell’allestimento, ma al Museo d’Arte c’è da scoprire un pittore libero, ricco, moderno, atipico e coraggioso...
Al Museo d’Orsay di Parigi c’è una tela di Cuno Amiet, un ‘Paesaggio di neve’ del 1904. Non è esposta a Mendrisio nella mostra dedicata all’importante pittore svizzero ed è un po’ un peccato perché magari avrebbe incoraggiato un adeguamento della temperatura alla situazione stagionale. A parte gli scherzi (di neve, nei quadri di Amiet a Mendrisio, ce n’è comunque), cito questo quadro perché la sua presentazione dice che il pittore svizzero è «a torto poco conosciuto. Forse a causa del carattere singolare della sua produzione, come chiaramente dimostra questa tela atipica, realizzata a margine delle ricerche pittoriche contemporanee». Simone Soldini, parlando della mostra che sta nel suo museo, dice: «È una mostra atipica» di un pittore che «amava definirsi eclettico». Ed eccoci quindi ricondotti alla presentazione parigina con tre elementi che caratterizzano il lavoro di Amiet e di conseguenza la mostra di Mendrisio: eclettismo, sperimentazione, atipicità. È importante a mio avviso partire da qui perché il fruitore della mostra potrebbe essere spaesato dall’allestimento e non riuscire a orientarsi né nelle tipologie di lavoro esposte, né nei confronti con gli altri autori che sono stati riferimenti di Amiet, ogni volta rappresentati da un quadro (di Giovanni Giacometti ce ne sono due): per esempio Jawlensky, Werefkin, Matisse, Gauguin, Chiesa. Tale possibile spaesamento ha origine nella carriera di Amiet e nel suo modo di affrontare il proprio lavoro, dominato soprattutto dalla sperimentazione di soluzioni per ottenere effetti di luce e di colore, con continui ritorni non lineari su modalità pittoriche ormai trascorse.
Una questione di libertà
Uno degli esempi più magici lo abbiamo nelle tre versioni del ‘Paradiso’ che la mostra affianca e che datano del 1894, del 1900 e del 1958. Troviamo un altro esempio in mostra lungo l’asse che, in una stanza, collega ‘Il bucato’ (un olio su eternit del 1904) con ‘Macchie di sole’, olio su tela dello stesso anno. Il bianco che nel primo quadro genera una banda orizzontale che si collega ad altre fasce cromatiche (verde, rosa-blu) e con la figura verticale dell’abito della donna, nel secondo quadro si sparge sull’abito e noi ne siamo accecati e, devo dire, abbagliati. Ho citato due esempi che definiscono due caratteristiche della mostra: le lunghe diacronie, le alterazioni all’interno dello stesso periodo. La storiografia ha selezionato di Amiet soprattutto il lavoro fino al 1919 mentre la mostra vuole essere una vera retrospettiva, nei modi specificati da Franz Müller nel corso della presentazione e in una conversazione diretta: «Vuole essere una vera retrospettiva perché non è uno specchio preciso della fortuna critica e dell’immagine disegnata dalla storiografia, per la quale l’opera buona dell’artista è stata prodotta prima del 1919 e dopo il 1954; inoltre, non seleziona soltanto la produzione ritenuta, secondo questi criteri, migliore ma, negli anni Venti, Trenta e Quaranta cerca risultati notevoli, lasciando a lato l’aspetto dell’innovazione e dell’avanguardia. Anche se è più difficile dal punto di vista della procedura, si può ugualmente trovare qualità pittorica in questo modo, fuori dagli schemi che ci sono stati consegnati dalla storiografia. È un lavoro che rende omaggio alla libertà di questo artista». Per essere più chiaro l’allestimento avrebbe dovuto forse selezionare una quantità enormemente più grande o enormemente più piccola di opere; a noi resta il piacere di godere di una presentazione comunque piuttosto ricca che cerca di mostrarci, per riprendere ancora Müller, come opera «il primo pittore svizzero che ha sperimentato il passaggio da una pittura analitica a una pittura sintetica», attingendo alle tecniche conosciute all’estero, soprattutto, ma anche nella cultura svizzera, per esempio attraverso il lavoro di Ferdinand Hodler. “Pons inter pontes” è stato infatti definito Amiet, giocando sulle sue relazioni con i gruppi artistici di Pont-Aven e poi di Die Brücke. Rispetto a queste qualità di testimone delle avanguardie ma anche di protagonista e anticipatore, la mostra di Mendrisio vuole «consegnare finalmente alla cultura italiana» un pittore soprattutto bravo, ricco, libero e coraggioso.