Giorgio Conte e quella volta con Dimitri elettricista
L’orchestra sinfonica, Elio, Antoine, le ‘proprie creature’ e quella notte del 2005 a Thun, con ‘l’elettricista’ Dimitri...
Giorgio Conte possiede quella rara leggerezza che ci permette di fruire dell’intimità del cantautore senza subire la pesantezza di chi, il vissuto, sembra avercelo soltanto lui. È giusto agli antipodi del “Rompiballe”, così l’artista astigiano sintetizza il cantastorie tutto pieno di sé. «Io sono controcorrente», dice. Conte porta domani sera al Teatro di Locarno (ore 20.30) il suo ‘Sconfinando’, cd e doppio vinile con editi e inediti affidati ad Alessandro Nidi, che ha curato gli arrangiamenti e diretto l’Orchestra Sinfonica Duchessa di Parma. «Ho provato a vestire le canzoni in un modo diverso», dice Giorgio. «Le cover, poi, bisogna stravolgerle, altrimenti tanto vale ascoltare l’originale». Ora «‘Deborah’, da rhythm & blues, è diventata milonga, ‘Una giornata al mare’ (del fratello Paolo, ndr), da beguine è diventata bolero, ‘Gne gne’ un can-can», ci dice lui. E sulla sua ‘Com’è bella la luna’, gli diciamo noi, c’è un violoncello superbo: «Sì, messo lì in apertura ha qualcosa di Bach, rende bene lo stupore di due amanti che sembrano i primi della terra, oppure gli ultimi». Conte racconta che ’Sconfinando’ è un titolo ‘rubato’ al giornalista Vincenzo Mollica: «Io ero al valico di Brogeda, lui al telefono mi dice: “Dove sei?”. E io: “Sto sconfinando”. E lui: “Bel titolo per un disco”». Lo definisce «un gerundio triste, in questo periodo di gente che cerca la felicità lontano dal proprio paese». Il suo, di gerundio, è però di carattere artistico: «Ho voluto uscire dai confini delle mie registrazioni con piccoli gruppi, per darmi alle cure di un direttore d’orchestra, con relativa compagine sinfonica». Quanto alle proprie creature affidate ad altri, «già è difficile essere convinti delle proprie idee, poi se c’è qualcun altro che parla un’altra lingua le cose si complicano. E invece Alessandro Nedi è stato un complice perfetto, è uscita una cosa univoca». In copertina, un’opera di Ugo Nespolo: «Di fama internazionale, riconoscibile, personale. Con il ritorno al vinile, ora c’è tutto lo spazio per far risaltare la sua arte pittorica, rispetto al piccolo cd. Fa la sua figura...». Giorgio sarà a Locarno con «due violini, una viola, un violoncello, un pianista, un polistrumentista che suona tutti i clarinetti del mondo e i miei fidi scudieri». Che sono Bati Bertolio (fisarmonica e vibrandoneon) e Alberto Parone, che suona la batteria e riproduce il contrabbasso con la voce: «La gente guarda in giro e cerca il contrabbasso. Alberto ha trovato il modo per risolvere il problema dell’intesa tra musicisti...», sentenzia divertito.
La radio, ‘falsa allegria’
Nel giorno dello scioglimento di Elio e le Storie Tese («Ma han fatto come i Beatles? Ma d’amore e d’accordo?», Giorgio ancora non sa), gli chiediamo di ‘Modulazione di frequenza’, duetto con Elio datato 1993, e se pensa ancora che le radio siano “Spazzatura colorata”. Così il Nostro: «In quei giorni ero a letto per il distaccamento della retina. L’unico conforto era la radiolina, che non riuscivo a fissare su nessuna stazione. In quella canzone ho parlato di “idiota felicità”, di “falsa allegria”. Lo penso ancora». Il duetto con Elio si deve al bassista degli Elii Faso e al musicista Lucio Fabbri: «Che mi dice “Qui ci vorrebbe un interlocutore”». Elio arriva il giorno dopo in motocicletta: «Entra con il casco sotto il braccio al Metropolis (storico studio milanese, ndr) e fa subito un paio di telefonate. Lo sento che dice: “Senti, devo fare un disco, devo dire tutto il peggio possibile delle radio...”. In ‘Sconfinando’, tra i brividi dati dagli archi in ‘Stringimi forte’ (da ‘Cascina Piovanotto’, 2014) e poco più avanti in ‘Arte’ («Io e mio fratello l’avevamo pensata per
Aznavour, ma ci bastò l’averla pensata, non gliela proponemmo mai»), l’ironia trionfa in ‘Antoine’, dove l’Antoine è quello di ‘La tramontana’: «È una questione privata tra me e lui. A Sanremo nel ’68 scrissi ‘Deborah’ per Fausto Leali e Wilson Pickett. Antoine arrivò terzo, io quarto, e ho sempre rosicato. Ora Antoine fa il documentarista in Polinesia. Volevo proporgli di partecipare a questo pezzo, dove alla fine facciamo pace bevendo un bicchiere di rum. Gli ho lasciato un messaggio in segreteria, gli ho inviato un’mp3. Dopo un’eternità ha risposto: “Ok, va bene tutto”. Poi è sparito. Allora ho fatto da solo. Ho riprodotto la sua segreteria telefonica con la mia voce. E alla fine del pezzo faccio anche la sua parte».
Maggini, il Clown e ‘le luci blu’
“Noi balliamo con le luci blu”. È il primo verso di “L’elettricista” (1993), la storia di «uno che faceva le luci nelle sale da ballo, le luci blu, che erano un segnale a prendere coraggio e approfondire certe situazioni...», riassume il suo autore. Una canzone che porta con sé un valore aggiunto. Partiamo dall’inizio. Si deve anche a Roberto Maggini la popolarità di Giorgio Conte in Francia, Canada e Belgio. «Lo invitai in Piazza Grande a Locarno», ci racconta al telefono Roberto. «Giorgio venne con Gianni Coscia e Luca Ghielmetti. Fu una serata bellissima, qui nessuno ancora lo conosceva». Fu lo stesso Maggini – per 22 anni vicepresidente della Borsa dei Teatri – a suggerirgli di presentarsi in quella sede. Bingo. Più tardi, nel 2005, Conte viene chiamato per il “Premio svizzero della scena” di Thun, dove si esibiscono anche Maggini e il grande Dimitri. Ancora Roberto: «Giorgio dice: “Perché non facciamo una cosa assieme?”. Io rispondo: “Dimitri non conosce le tue canzoni”. Il resto è racconto del cantautore: «Dimitri si fece dare una lampada, un cavo e una tuta. Piombò sul palco con un capitombolo da grande clown qual era. Un campione della fantasia e dell’invenzione. Quel suo bel teatro, e la scuola circense, lo rappresentano».