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Addio a Umberto Lenzi, anarchico nel gran circo cinema

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Non l’ha mai abbandonat­o, il mondo del cinema, Umberto Lenzi, nato nel 1931 e scomparso ieri a Ostia: anche nei romanzi, la sua passione e il suo orgoglio quando negli anni 90 ha smesso di fare il regista, troviamo il demone della celluloide; infatti tutti i suoi migliori “gialli” hanno per sfondo il cinema al tempo del fascismo con storie criminali che si intreccian­o a titoli celebri, da ‘I miserabili’ a ‘Cuore’, da ‘Harlem’ alla stessa Cinecittà. Lenzi ha scoperto il suo vero talento di regista del giallo nel 1966 quando, ispirandos­i a un fumetto di grande successo, dirige con occhio attento alla pop art il fortunatis­simo ‘Kriminal’ che resta oggetto di culto. Tre anni dopo, vara il genere “thriller dei quartieri alti” (la definizion­e è sua) ottenendo il riconoscim­ento del pubblico internazio­nale con ‘Così dolce così perversa’, ‘Orgasmo’ e il suo capolavoro ‘Spasmo’. Talento irrequieto – ha sempre detto di sentirsi anarchico nell’anima – riscrive il genere poliziotte­sco che ne farà uno degli idoli di Quentin Tarantino e il pigmalione di due star del genere: Maurizio Merli di cui farà la fortuna e Tomas Milian, una sua scoperta con cui lavorerà sette volte. Sono gli anni 70 di ‘Milano odia: la polizia non può sparare’, ‘Roma a mano armata’ e ‘Napoli violenta’ fino a ‘Il trucido e lo sbirro’ con il debutto del personaggi­o di Monnezza. Con lui esce di scena un grande nella sua semplicità di narratore e prestigiat­ore dell’invenzione ottica. ANSA

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