Quella nube vista dallo spazio
Ci voleva (forse) qualcuno da lassù per farci capire come siamo messi, quaggiù, noi terrestri. Con uno scatto e un ‘astrotweet’ l’astronauta italiano Paolo Nespoli, mercoledì, ci ha fatto la fotografia. Zoom sulla Pianura Padana, ci ha costretto a guardare in faccia la realtà. Ma soprattutto ci ha dato un’immagine plastica dell’aria che respiriamo. Sì, perché lì, ai margini del Norditalia, ci siamo anche noi ticinesi (non parliamo poi dei momò). Quella densa nube – difficile pensare sia nebbia, nonostante la comprensibile cautela dell’ingegnere aerospaziale – che incombe sull’arco padano toglie letteralmente il fiato. Non c’è che dire, l’impatto è alquanto impressionante. Eppure, almeno nel profondo meridione del cantone, lo sappiamo da anni che ad appesantire il respiro, con l’arrivo dell’inverno, ci sono le polveri fini, spesso e volentieri ben oltre i limiti legali. Così, ogni volta, ci si mette in attesa: si supererà a tal punto la soglia critica giornaliera (dei 50 microgrammi per metro cubo) per ‘guadagnarsi’ le misure d’urgenza? Quindi 80 orari sull’autostrada (e la Superstrada) a sud del Ponte diga di Melide – come da ieri a mezzogiorno – e, se va proprio male (lo stato dell’aria, s’intende), blocco dei diesel e trasporti gratuiti? Sembra paradossale, ma è quello che succede, almeno qui a terra. Si arriva ad aspettare l’emergenza per sperare che si passi all’azione. Sia chiaro, un’azione che va a tamponare la situazione, giusto per non peggiorare le cose. Il che è successo due volte dall’inizio dell’anno sulla base del Decreto d’urgenza. Perché la vera politica ambientale resta quella della sensibilizzazione, delle campagne a favore del trasporto pubblico e delle forme alternative di mobilità, quella degli incentivi a vantaggio di edifici più virtuosi. Bisogna, però, fare una confessione: i numeri della mobilità pubblicati giovedì dal Cantone per un momento ci avevano illuso, soprattutto noi del Mendrisiotto. Mezzi pubblici ben frequentati, ma ciò che più conta, meno veicoli sulla rete stradale: vedere quei segni negativi davanti alle percentuali del traffico medio giornaliero ha dato un po’ di conforto. Un sollievo solo passeggero. A riportarci alla cruda verità, ieri, sono stati i valori dello smog. Del resto, c’era da aspettarselo. Non si può dimenticare che nel distretto più a sud c’è il tasso di motorizzazione più elevato del Ticino (peraltro tra i cantoni in cima alla classifica nazionale con 638 veicoli per mille abitanti). Infatti, il Mendrisiotto oggi conta più di due auto per tre residenti. Non solo, fra il 2011 e il 2016 ha registrato il tasso di crescita più importante. Difficile non pagarne lo scotto. Se poi si aggiungono la vicinanza alla Lombardia (e ai suoi livelli di inquinamento) e la conformazione orografica del territorio (oltre a condizioni meteo a dir poco sfavorevoli), la frittata è fatta. Come uscirne? La posizione geografica è quella che è, e non si può certo cambiare; non rimane che insistere e fare leva sui comportamenti virtuosi. Confidando di fare arretrare ulteriormente i dati sul traffico regionale. È, però, indubbio: Mendrisiotto e Ticino non possono permettersi di risolvere il problema da soli. Serve un’alleanza con le autorità d’oltrefrontiera. E allora non resta che fare il tifo per gli amministratori a cavallo del confine, impegnati dall’estate scorsa a coordinare gli sforzi e decisi ad attivarsi in tutti i modi per migliorare la qualità dell’aria e della vita di chi vive sui due lati del valico. Perché qui o si centra l’obiettivo o si arriverà, come a Torino, a sentirsi ordinare non di ridurre la velocità, bensì di sbarrare porte e finestre per tenere fuori lo smog, almeno da casa nostra.