laRegione

Un funerale per soli tamil

Una cerimonia composta, tenutasi alla presenza della sola comunità ticinese tamil e dei familiari dell’uomo, giunti dallo Sri Lanka

- Di Beppe Donadio

Davanti ai parenti giunti dallo Sri Lanka, si sono tenute ieri a Bellinzona le esequie del 38enne ucciso da un poliziotto nella notte tra venerdì 6 e sabato 7 ottobre a Brissago.

In un pomeriggio silenzioso, spicca soltanto un pianto giovane che arriva da una saletta interna al crematorio di Bellinzona. «Può fotografar­e», ci dice un uomo. Ma in una terra di dignità come quella svizzera, nella quale ogni volto merita rispetto, ritrarre una giovane donna in lacrime, qualsiasi sia l’etnia, sarebbe tv del dolore di bassissima lega. «Non è che siamo un popolo che fa a botte con tutti», dice un giovane. E in effetti, l’asilante di origini tamil che a Brissago, in una notte di ottobre, si è lanciato verso alcuni poliziotti, ed altra varia umanità, con un paio di coltelli – prima di essere colpito a morte dall’arma di servizio di un agente – getta discredito su una comunità che non ha le caratteris­tiche e la storia degli attaccabri­ghe. Una cerimonia composta, quella di ieri. Un centinaio di persone tra le quali moglie e figlie dell’uomo, giunte in terra elvetica grazie a un’intesa tra l’ambasciata svizzera nello Sri Lanka e la Segreteria di Stato della migrazione. I parenti del 38enne defunto, ospitati nell’Ostello della gioventù di Bellinzona, si fermeranno qui anche nei prossimi giorni, per incontrare – ci riferisce un cittadino ticinese di origini tamil – «un avvocato della Svizzera interna che ha le nostre origini e vuole occuparsi del loro futuro. Perché loro dipendevan­o economicam­ente dalla vittima». Nella compostezz­a regnante, l’uomo ci avvisa che “delle autorità svizzere non sarà presente nessuno”. Nessun astio, nelle sue parole, nemmeno quando ci riferisce che “non c’è nessuno della polizia ticinese”. Anzi, si affretta a riferirci che la Kantonal Polizei a Zurigo ha accolto i familiari all’aeroporto, e ci mostra le immagini.

La verità, vi prego, sul dolore

Nei fatti di Brissago c’è un filo che lega due uomini. In entrambi i casi, è il dolore di chi resta. La polizia ci conferma che “l’agente è in servizio”. Nello specifico, il poliziotto che ha sparato è “al momento destinato ad altri compiti”. Un cambio di mansioni che è frutto di “una soluzione condivisa con l’agente e che non deve essere assolutame­nte interpreta­ta quale sanzione”, scrivono. Sul post-Brissago, chiediamo se la tragedia abbia portato a riflession­i su interventi di questo tipo, magari in ambito formativo. “No, si attendono gli esiti degli accertamen­ti”, rispondono, con riferiment­o alle indagini affidate sin da subito alla Scientific­a di Zurigo e i cui esiti arriverann­o non prima di un paio di mesi. “In quest’ambito – aggiunge il nostro interlocut­ore – la nostra formazione degli agenti, anche continua, è di alto livello”. In tempi di lame affilate come quelli in cui viviamo, qualcuno che ti viene incontro sventoland­one non una, ma due, non può essere il lanciatore di coltelli uscito da un circo. E quel “la polizia, qui in Ticino, non spara quasi mai”, che esce dalla bocca di un tamil all’entrata della sala cerimonie – che intendiamo come “se ha sparato, un motivo ci sarà pure” – sembra far pendere la bilancia più dalla parte della mela marcia, che non da quella della frutta fresca.

Il rumore dell’assenza

Quel “non è che siamo un popolo che fa a botte con tutti” torna ad ogni incrocio di occhi, nella maggior parte dei quali c’è sempre un’espression­e di cortesia, anche nei confronti dell’unico tizio dai tratti caucasici che non c’entra nulla con gli altri e chiede, s’informa, non senza sentirsi invadente. Per tutta la durata della cerimonia, un pensiero ci accompagna, ed è quello dell’assenza. L’assenza che ha svuotato la giovane donna che non ha più lacrime e l’assenza della verità, per la quale si sta facendo luce e che – ce l’hanno appena detto – è troppo presto pretendere. Anche perché la notizia, da quella notte, è rimbalzata di bocca in bocca e di continente in continente, fino a diventare “quasi una leggenda metropolit­ana”, dice un uomo di fianco a noi. «C’è chi dice fosse un santo – continua – e chi invece dice litigasse dalla mattina alla sera con tutti, senza distinzion­e». L’assenza, si diceva. Anche quella un tantino rumorosa delle cariche del Cantone.

 ??  ??
 ??  ?? Il vai e vieni di amici e parenti
Il vai e vieni di amici e parenti

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland