Uomini retti e ospitali
Per Lisa Bosia Mirra, ‘siamo in un’epoca in cui il richiamo all’ospitalità è al massimo tollerato’
Continuano sulle nostre colonne le riflessioni scaturite dalla sentenza di condanna di primo grado a Lisa Bosia Mirra. Dopo lo storico Andrea Ghiringhelli con il suo intervento ‘Creonte o Epicheia?’ (laRegione del 12 ottobre), seguito dall’opinione dell’avv. Maurizio Agustoni, capogruppo Ppd ‘Riveder le stelle oltre le meschinità’ (laRegione del 19 ottobre), è ora la volta del filosofo Jean Soldini. “Antinoo, hai fatto male a colpire un povero vagabondo. E se fosse, maledetto, qualche nume del cielo? Anche gli dei, facendosi somiglianti a stranieri di terre lontane, si aggirano sotto svariate sembianze fra le città per osservare l’arroganza e la rettitudine degli uomini” (Odissea, XVII, 483-488). Gli si ricorda che l’ospitalità è un dovere incontornabile. È ciò che incontriamo anche nell’Ebraismo: “Tu non molesterai lo straniero né l’opprimerai, perché foste stranieri nella terra d’Egitto” (Esodo 22, 20). L’ospitalità sarà centrale nel Cristianesimo e nel mondo arabo-islamico. Pensiamo alla figura del poeta, cavaliere beduino Hatim al-Ta’i, modello di generosità nella letteratura araba come pure in tutto il mondo islamico. Fuori di ogni visione idealizzante, nelle inevitabili contraddizioni e oscillazioni dei testi, nonché tra principio e pratica fattuale dell’ospitalità, voglio qui solo ricordare che ci fu un lungo arco storico in cui a essa ognuno era tenuto. Faceva parte dei valori inviolabili a cui il mondo in cui vivevi t’invitava a conformarti.
Declino di una virtù
Non ho qui la possibilità di tracciare – sarebbe inutile rispetto alla finalità di queste righe – il percorso del declino di una virtù che inizia nel XVI secolo per culminare oggi, epoca in cui è completamente sparita in quanto valore di società pur rimanendo, ovviamente, nei cuori di singoli individui. Un conto è però l’ospitalità singolare e un conto l’ospitalità sempre comunque singolare, ma inserita in un’ospitalità ambientale che permetteva alla prima di non sopravvivere semplicemente come una sorta di follia. Probabilmente è grazie a questa ospitalità ambientale che poterono esistere quelle “persone – di solito vecchiette, donne di casa, filistee senza partito – grazie alle quali si potevano mandare dei pacchi nei lager o ricevere – al loro indirizzo – le lettere dei detenuti”. Ne parla Vasilij Grossman in Vita e destino, aggiungendo: “Non avevano paura, loro, chissà perché”. Probabilmente è questa stessa ospitalità ambientale che può aiutare a spiegare un “dettaglio” in ciò di cui è stata protagonista nell’agosto del 1944 Domenica Tarroni nata a Savarna di Ravenna nel 1905 e morta nel 2002. Andò da sola a tirar giù dagli alberi Aristide, Nello e Luciano Orsini, partigiani impiccati dai fascisti. Ed ecco la cosa più impressionante in quell’atto coraggioso: da casa si portò tre lenzuoli di lino ricamati che facevano parte della sua dote. Quei tre poveri corpi furono così accolti, per il tramite di quei lenzuoli, nella parte più intima, segreta della vita di quella donna semplice.
Potere, ospitalità assoluta e ospitalità di diritto
Il nostro tempo è dominato (lo ha evidenziato Andrea Ghiringhelli nel suo bellissimo articolo del 12 ottobre scorso) da una logica legalistica impoverente la riflessione giuridica. Questa logica legalistica è l’altra faccia di un mercato desideroso di sottrarsi alle leggi con modalità disparate, non da ultimo cercando uscite verso Paesi con quadri legali più favorevoli. Così si esprime il potere nella sua forma odierna; potere che forse ancora più d’ieri “resta solo per non ammettere altri intorno a sé; per non vedere altro che quelle presenze che può assorbire. Ma se possono assimilarglisi non sono, non erano presenze”, ci dice con forza e lucidità la filosofa spagnola Maria Zambrano in ‘Per l’amore e per la libertà. Scritti sulla filosofia e sull’educazione’.
Questa donna ha esercitato la legge dell’ospitalità assoluta nei confronti di migranti col loro terribile fardello di sofferenze. ‘Sono stata in silenzio a lungo ma adesso sono pronta a raccontare a chiunque abbia la voglia e il tempo di ascoltare quello che ho visto a Como, delle ferite ancora aperte, delle donne stuprate, dei minori respinti’.
L’agire di Lisa Bosia Mirra – alla cui rettitudine questo intervento vuole rendere omaggio – impone una vera presenza, difficile da digerire. In esso diverse cose mi aiutano a riflettere a partire dagli aspetti messi prima rapidamente in evidenza. Questa donna ha esercitato la legge dell’ospitalità assoluta nei confronti di migranti col loro terribile fardello di sofferenze. “Sono stata in silenzio a lungo, ma adesso sono pronta a raccontare a chiunque abbia la voglia e il tempo di ascoltare quello che ho visto a Como, delle ferite ancora aperte, delle donne stuprate, dei minori respinti”. L’ospitalità assoluta, secondo Jacques Derrida, “ordina di rompere con l’ospitalità di diritto, con la legge o la giustizia come diritto. L’ospitalità giusta rompe con l’ospitalità di diritto; non che la condanni o vi si opponga [...], ma le è curiosamente eterogenea tanto quanto la giustizia è eterogenea al diritto a cui è tuttavia così vicina e da cui è, in verità, indissociabile” (in A. Dufourmentelle e J. Derrida, De l’hospitalité). L’ospitalità giusta rompe con l’ospitalità di diritto se, per esempio, diventa ‘impossibile fare diversamente’ di fronte a quel parco antistante alla stazione di Como trasformato ‘nella dimostrazione più evidente della fine di qualunque umanità’ (L. Bosia Mirra).
Umanità nuda e fine di qualunque umanità
Prendersi cura dell’umanità nuda, quella del migrante, guardandola come fine di qualunque umanità comporta la consapevolezza di trovarsi di fronte alla tragica, totale mancanza di quell’involucro che l’uomo produce in un ordinario contesto sociale. Una sorta di epidermide per presentarsi, per proteggersi in quel contesto che così lo riconosce. Quell’involucro è la persona e quindi l’uomo che ha una patria, dei documenti, qualche bene, un lavoro, un ruolo nella società, qualcosa che gli permetta di essere cittadino. Nel caso dei migranti ciò è stato spazzato via da una violenza inaudita di cui siamo, tra l’altro, corresponsabili benché si continui a far finta di niente. Le scelte estreme fatte da L. Bosia Mirra ci aiutano a renderci conto fino a che punto termini quali ‘emergenza umanitaria’ non riescono a restituire il senso della realtà, perché tutto è diventato molto più mostruoso in una situazione internazionale caratterizzata da una volontà politica di facciata. Ce lo significano le recenti dimissioni di Carla Del Ponte dalla Commissione d’inchiesta indipendente dell’Onu sulla Siria. Non è solo questione di brutalità maggiore contro gli individui, bambini compresi, ma della mancanza del pur fragilissimo epitelio con cui un po’ di determinazione e riconoscimento politici in più riuscivano a ‘ricoprire’ quell’umanità ora esposta fino alla sua negazione senza appello che può anche chiederti di contravvenire alle leggi dello Stato.
Guardare e riguardare in faccia la realtà
di un vuoto d’ospitalità ambientale
Siamo in un’epoca in cui il richiamo all’ospitalità è al massimo tollerato. Espressione di romanticismo e ingenuità, quel riferimento provoca facilmente scherno, anche se viene dal papa. Questi è elogiato ma ugualmente criticato da chi è pronto a brandire il suo presunto attaccamento alla tradizione cristiana contro il pericolo dell’Altro. In una stagione del genere, la radicalità dell’agire di persone come L. Bosia Mirra contribuisce a mettere per contrasto l’accento su un desolante vuoto d’ospitalità ambientale. Basta volgersi indietro di qualche decennio a quel Ticino più volte ricordato dell’inizio degli anni 70, quello dell’accoglienza di centinaia di Cileni che fuggivano dal loro Paese dopo il colpo di Stato, aiutati a entrare illegalmente dal pastore Guido Rivoir il cui procedimento giudiziario venne archiviato con la motivazione che aveva agito per motivi onorevoli. È utile guardare e riguardare in faccia la realtà, lo squallore del tempo attuale col suo corollario di furbizia, arroganza, viltà, ma anche di energie positive e generose, quelle di un Ticino che rifiuta di arrendersi, che cerca i modi per resistere meglio, per continuare a lottare per un mondo diverso da quello presente. Al di là della sentenza contro L. Bosia Mirra c’è per lei e per noi da ostinarsi a cercare nel buio bellezza, luce, “âmes toutes simplettes, ne sachant rien / hors qu’être enclines à ce qui réjouit”. Sono versi del poeta Jean-Charles Vegliante nel suo Journal presque en vers (dalla raccolta Où nul ne veut se tenir) che interseca i massacri jihadisti. Qui l’autore, traduttore di Dante in francese, ci porge quasi parola per parola, nella naturalezza di un magnifico battito d’ali, i versi 88-90 del canto XVI del Purgatorio. Nell’inferno della terra coglie l’essenziale dell’essere umano: essere incline a ciò che rallegra. Nella “dimostrazione più evidente della fine di qualunque umanità” immagino che chi lavora coi migranti debba, con una percezione fuori del comune, vedere e cercare di salvare questo “essere incline a ciò che rallegra”. In caso contrario il suo impegno sarebbe presto raggelato dall’orrore.
Barbari
Andando verso la conclusione, un’ultima cosa. Nell’Apologia di Socrate di Platone (I, 17 c-d) Socrate afferma che se fosse uno straniero, se parlasse un’altra lingua sarebbe compatito. Si trova per la prima volta in un tribunale, non è pratico del linguaggio di quel luogo; chiede che si faccia attenzione non al suo modo di parlare, ma a ciò che dice. Si trova, insomma, in uno stato d’inferiorità rispetto a uno straniero. Perché dice questo? Il linguista Émile Benveniste ci ha aiutato a capire che ad Atene lo straniero non era l’altro assoluto, il barbaro, il selvaggio. Questi erano esclusi dai diritti concessi agli stranieri. Essere straniero comportava l’esistenza di un diritto più o meno formalizzato. Così Socrate si ritrova in una condizione che è simile a quella del barbaro di fronte al quale può esserci solo quell’ospitalità radicale che rompe con l’ospitalità di diritto. Quell’ospitalità radicale praticata da L. Bosia Mirra, per la quale alcuni vorrebbero inchiodarla ora a uno statuto simile a quello di straniero assoluto, di selvaggio. Simile, quindi, allo statuto dei bambini, delle donne, degli uomini che ha soccorso e che gli stessi vorrebbero inchiodare nelle strisce di confine o in fondo al Mediterraneo, oppure ancora nei loro Paesi martoriati dai quali per chissà quale ragione non dovrebbero fuggire. Non basta tuttavia che lì restino inchiodati. Che non ci siano grida o voci di fantasmi nella notte a disturbare i nostri sonni! L’agire di L. Bosia Mirra (e di altri nel mondo) con il suo “eccesso” porta fino a noi queste grida, queste voci cocciute nella notte. Cocciute perché non basta in quel caso un semplice “zitte!” perché spariscano.