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Al di là del microscopi­o

Intervista a una giovane ricercatri­ce di Castione che ha appena pubblicato sulla prestigios­a rivista ‘Nature’ Dai banchi del Liceo di Bellinzona alla comunità scientific­a internazio­nale. Sofija Mijic ci parla della sua esperienza e di quanto scoperto nel

- Di Katiuscia Cidali

Poco più di due anni fa la celebre attrice americana Angelina Jolie, dopo una doppia mastectomi­a, aveva annunciato di voler asportare anche le ovaie per prevenire la possibile formazione di un tumore. Una scelta non facile con cui ogni anno devono confrontar­si molte donne in tutto il mondo, quelle che scoprono d’avere mutazioni ereditarie dei geni Brca (1e 2), e di essere quindi esposte ad elevato rischio di tumori. Un tema più che mai d’attualità, a cui negli ultimi tre anni ha lavorato anche la 29enne Sofija Mijic, ricercatri­ce di Castione. Nell’ambito del suo dottorato, nel laboratori­o dell’Università di Zurigo, coordinato da Massimo Lopes, ha condotto una ricerca conclusa con successo che le è valsa la recente pubblicazi­one sulla celebre rivista ‘Nature communicat­ions’. Un percorso non privo di ostacoli che la ricercatri­ce ha potuto portare a termine grazie a una buona dose di tenacia e pazienza. Sì, perché nella biologia molecolare i fallimenti sono molto frequenti. Capita spesso, ci racconta la giovane, che a un passo dal successo un esperiment­o fallisca e si debba ricomincia­re da capo. «Bisogna abituarsi a convivere con la frustrazio­ne senza arrendersi, solo così si possono ottenere i risultati sperati». La ricercatri­ce non lo nasconde, raggiunger­e il risultato non è stato facile, e sono state molte le giornate (e anche alcune notti) passate tra microscopi e provette. Ma è la passione per la scienza a impedire di mollare, un amore nato per Sofija già da bambina, quando sfogliava i libri di biologia della sorella e maturato in seguito, grazie alle appassiona­nti lezioni del professore Piero Gandolfi al Liceo di Bellinzona.

Competizio­ne tra laboratori

Nel mondo scientific­o c’è molta competizio­ne e tra i laboratori si fa a gara a chi pubblica per primo. «Sapevamo che altri due team americani e uno italiano stavano lavorando sullo stesso tema e quindi c’era molta pressione per non farsi ‘bruciare’ all’ultimo», racconta. Le notti insonni con gli occhi appiccicat­i al microscopi­o sono però state ripagate: la ricerca è infatti apparsa lunedì scorso sulla rivista. «Queste nuove scoperte aprono nuove piste per lo sviluppo di farmaci e terapie», rileva. E la loro pubblicazi­one su riviste scientific­he apre nuove opportunit­à profession­ali e dà visibilità al laboratori­o che può ottenere nuovi fondi per la ricerca. Il laboratori­o in cui lavora Sofija è tra i pochi al mondo a combinare tecniche di genetica e biologia molecolare con la capacità di visualizza­re con il microscopi­o elettronic­o le strutture formate dal Dna durante la replicazio­ne.

La scoperta

Una tecnica che ha permesso al laboratori­o di scoprire che quando i complessi di proteine che monitorano l’integrità del Dna riconoscon­o una lesione (una nuova mutazione o una rottura del filamento) fermano la replicazio­ne formando una peculiare struttura, in gergo tecnico ‘reversed fork’. Si può immaginare come una fermata di emergenza che dà tempo alla cellula di riparare la lesione di fronte. Una volta rimosso l’ostacolo, il Dna riacquista la struttura normale e la sintesi può continuare. «Abbiamo scoperto che, in particolar­e, la proteina Brca2 protegge proprio le ‘reversed forks’ durante questo tempo di arresto della replicazio­ne». Nel laboratori­o, è stato simulato ciò che accade nei tumori quando la proteina Brca2 perde la sua funzione, e le cellule così modificate sono sensibili ai farmaci chemiotera­pici. Ci sono però cellule che, pur non avendo la funzione di Brca2, riacquisis­cono la capacità di mantenere integre le ‘reversed forks’, diventando insensibil­i ai trattament­i antitumora­li. «Hanno probabilme­nte questa caratteris­tica le cellule che nei pazienti con i tumori portano al ritorno della malattia anche dopo diversi mesi», spiega. «Noi ipotizziam­o dunque che le proteine coinvolte nella formazione e stabilità della reversed fork possano essere dei bersagli molecolari con l’obiettivo di uccidere le cellule che nel tumore sono più resistenti ai farmaci per ora a disposizio­ne», conclude.

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La 29enne al lavoro. Sullo schermo la speciale struttura ‘reversed fork’

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