Quando il viaggio è racconto
Domani sera la premiazione del Concorso letterario in biblioteca ‘Castelli di carta’
Che cosa significa scrivere in viaggio, scrivere del viaggio? Lo spiega Flavio Stroppini, ospite della serata conclusiva di Castelli di carta.
Mi hanno sempre detto di fare attenzione. Avrebbero dovuto dirmi di dimenticare le sicurezze della quotidianità e guardare il mondo con occhi curiosi. D’altronde chi viaggia lo sa: “Non si viaggia per addobbarsi di esotismo”, come scriveva Nicolas Bouvier, “ma perché la strada ci spiumi, ci prosciughi e ci strigli”. Già, sembra affascinante partire, raggiungere un qualche altrove e da laggiù raccontare. Vi garantisco invece che non c’è nulla di esotico, di romantico o di poetico. C’è, molto semplicemente, qualcosa di nuovo che s’intromette con le nostre radici e che le mette in discussione.
Quando viaggi hai tre possibilità: o aggredisci, o ignori o cerchi di conoscere
Da anni viaggio per cercare di raccontare al meglio le mie storie. La strada mi ha portato a condividere zanzare, cessi, ciambelle, sigarette e benedizioni in luoghi che mi sono stati presentati come inaccessibili. Col tempo, la pazienza e la curiosità, non ho trovato un luogo che mi sia stato negato. Spesso non è stato facile, ma quello che ho capito è che non esiste un “No” che sia veramente un “No”. Luoghi inarrivabili, immaginandoli dalla mia prospettiva occidentale, sono diventati percorribili grazie alla mia fisicità. È stato così che ho passato decine di dogane autostradali a piedi, convincendo i doganieri che fossi un’automobile; che sono entrato a contatto con la mafia più sconcertante di Mumbai, night club con nani all’entrata e trampolieri all’interno; che ho raggirato ufficiali divini certificando la mia fede, per ottenere il permesso di soggiornare sulla penisola del Monte Athos; che ho raggirato ufficiali terrestri pur di entrare in luoghi proibiti; che ho soggiornato in una comunità autosufficiente nella giungla thailandese; che mi sono sbronzato con gli exoperai dei cantieri navali di Danzica; che ho vissuto nei porti del Mediterraneo, che ho tirato mattina giocando a dadi in diverse città cinesi; che ho avuto una pistola puntata sul naso nei sob-
borghi di Cape Town; che ho passato del tempo in quell’inferno che è Alang in India, il cantiere di smantellamento navi più grande del mondo. Ora sembra che possa avere qualcosa da dire su tutti questi luoghi. In verità, come diceva Flaiano, “Ho solo visto il tempo che, dai rubinetti aperti, se ne va via, sprecato, liquido, intrattenibile”. Quando viaggi hai tre possibilità: o aggredisci, o ignori o cerchi di conoscere. Ryszard Kapuscinski ricostruisce quest’attitudine in un riuscito articolo. “Immaginiamo per un attimo di essere la prima tribù sulla terra, convinta di essere unica al mondo. Durante uno spostamento (viaggio) in un mondo da cartografare questa tribù ne incontra
un’altra. Immaginiamo che shock! Non erano soli. Fino a quel momento quel gruppo di primigeni poteva illudersi che al mondo non ci fosse nessun altro. E invece…”. Dunque: che fare? Aggredirli? Ignorarli? Conoscerli? Questa domanda non è cambiata dagli albori di quella che noi chiamiamo civiltà ai giorni nostri. Ogni qualvolta ci confrontiamo con il diverso ci ritroviamo a prendere posizione su queste domande. Il polemista austriaco Karl Krauss, a inizio 1900 contestava l’esotismo gratuito dei narratori della sua epoca. Grazie alla possibilità di muoversi, regalata dagli sviluppi tecnologici, gli autori imperiali producevano “fordisticamene” contenuti dagli estremi del mondo. Quel che infastidiva Krauss era “l’osservare che l’osservazione” fosse un colonialistico trapiantare altrove il proprio mondo. Mi spiego: se osservo da un “Club Med” (senza alcuna giudizio verso i Club Med o simili; se uno vuole vivere quel genere di ferie, Sant’Iddio, che la vivi!) e pretendo di capire il luogo nel qual soggiorno sicuramente non capirò nulla. Per raccontare il viaggio dobbiamo tenere a mente due cose. La prima è che noi proveniamo da un luogo e in questo luogo torneremo per raccontare. Dunque, prima di allontanarci e raccontare il mondo dobbiamo conoscere casa nostra. Altrimenti come faremmo a capire cosa accade altrove? La seconda cosa da tenere a mente è che dobbiamo dedicare del tempo al luogo che ci ospita. Solo con il tempo potremo mescolarci tra quel vivere quotidiano e avere qualcosa da raccontare fedele alla realtà Poi bisogna ammetterlo, non è che uno viaggia necessariamente per raccontare. Uno viaggia perché lo spaesamento che trova nel mondo lontano dalla sua casa gli certifica la sua individualità. In viaggio, quello vero (a terra, per assaporare le distanze, per sentire come cambia la parlata un chilometro dopo l’altro) si è soli e questa solitudine trasforma il cammino in esperienza. Viaggiando si capisce che ogni terra sconosciuta è una terra sacra. Il mio lavoro è raccontare il viaggio. Questo comporta una serie di strumenti e di tecniche da utilizzare “sul campo”. Il guardare il mondo è sempre rivolto al tentativo di capire cosa accade. Ogni tanto è semplice, ogni tanto è difficile. Talvolta ci riesco e talvolta me ne torno a casa con la sensazione di non essere riuscito a “entrare”. Quel che ho capito però, in questi anni è che tutti i mammiferi chiamati umani che popolano questa nostra terra vogliono le stesse cose. Mangiare, un tetto, una famiglia, un futuro, avvicinarsi ai propri sogni. Tra la gente, levata la chincaglieria dell’apparenza, ho spesso sperimentato una banalità che tendiamo a dimenticare: noi esseri umani siamo uguali. Già, non dobbiamo avere paura nell’essere nomadi, non dobbiamo temere le ombre ma illuminarle e se cerchiamo risposte a quello che accade nella nostra quotidianità dobbiamo allontanarci abbastanza da poter osservare il quadro generale. Raccontare il viaggio presuppone percorrere dei bei pezzi di strada, talvolta arrancando e talvolta sospinti da un gran vento. Bisogna camminare fino a quando arriva il momento, arriva sempre, in cui ci si siede da qualche parte e qualcuno inizia a raccontarti una storia. Lì, grazie a quell’incontro, il viaggio diventa racconto.
La premiazione
La cerimonia di premiazione della dodicesima edizione di Castelli di carta si terrà domani alle 18.30 nell’Auditorium BancaStato a Bellinzona. Alla serata saranno presenti anche il narratore, autore teatrale, sceneggiatore e regista Flavio Stroppini e Carole Haensler Huguet, curatrice di Villa dei Cedri. Info: