‘Non abbiate paura dei bambini’
Pressati dalle aspettative sociali, fra genitori spaventati e docenti che non appassionano, i giovani cercano una motivazione. Il consiglio? ‘Parlate con loro, fin da quando sono bambini...’.
‘La famiglia è sempre più disgregata, accudisce i bambini ma non parla con loro’ è il monito del filosofo Umberto Galimberti in difesa dei giovani ‘privati del loro futuro’.
Filosofo, antropologo, già professore di psicologia generale e dinamica, membro dell’International Association for Analytical Psychology, divulgatore, riassumere in poche righe il profilo intellettuale, le pubblicazioni, i riconoscimenti e le vicissitudini di Umberto Galimberti sarebbe cosa ardua. Lo abbiamo incontrato qualche giorno fa a Locarno, dov’è stato ospite della Clinica Santa Croce per un convegno sul tema ‘I giovani nell’età del nichilismo’. Proprio ai giovani dieci anni fa ha dedicato ‘L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani’ (Feltrinelli). Ma a loro si è rivolto fin dagli inizi della sua carriera, quando era un professore liceale di filosofia e, ci ha confidato con emozione, una sua alunna si è smarrita nella schizofrenia, fino a gettarsi nel Lambro.
Perché, nonostante la sua disillusione verso il nostro tempo, lei oggi investe ancora energia per occuparsi di giovani?
Perché il futuro biologicamente è loro, ma culturalmente glielo abbiamo fregato. Per loro l’avvenire è diventato imprevedibile, quindi non retroagisce come motivazione: perché devo studiare, perché devo impegnarmi? Io considero che i giovani rappresentano il massimo della potenza biologica, il massimo della potenza sessuale (però non procreativa, perché la nostra società non glielo concede) e il massimo della potenza ideativa (Einstein a 24 anni aveva ideato la sua formula, Mozart a 17 anni componeva e suonava davanti a papi e duchi, l’inventore di Google ha cominciato da ragazzo in un garage); ma viviamo in una società suicida, che si disinteressa di loro. Come si può fare a meno della potenza biologica, sessuale e ideativa?
Spiegare l’umano o comprenderlo: che cosa cambia?
È una distinzione che deriva da Karl Jaspers, il più grande psicopatologo che io ho conosciuto. La psichiatria mi spiega tutte le malattie e le sindromi psichiche, ma per comprendere ci vuole una dote naturale, l’empatia, cioè la capacità di
andare a catturare il nucleo della follia. Così scopri che tutte le sue manifestazioni rispondono a quel nucleo come a un teorema geometrico. Ma questo vale anche per le persone “sane”: se io catturo la tua visione del mondo, ti ho capito, ho capito la simbolica sottesa a ciò che tu dici. Questa è la comprensione.
I giovani fanno paura agli adulti?
Agli adulti sì, hanno addirittura paura a parlare con loro. Ma non parlano con loro neanche quando dovrebbero farlo, cioè dalla nascita ai 12 anni, quando le loro parole sarebbero efficaci. Dopo non si può più parlare con i ragazzi, se non quando loro ti aprono la porta. E a quel punto i genitori sono spaventati. Quando un bambino ti fa vedere i suoi pasticci, non gli devi dire “domani”, che poi significa “mai”; se no gli stai dicendo che non ha fatto niente di interessante e alla fine lui non farà più niente.
Gli adolescenti vengono caricati di troppe pressioni e aspettative sociali, senza che siano prima stati educati alla frustrazione?
A queste pressioni vengono sottoposti appena nati, già da bambini devono andare a scuola, fare uno sport, imparare a sciare, a nuotare, a suonare... Troppa roba. Quando hai un eccesso di stimoli per la tua capacità di contenimento, o vai in angoscia oppure abbassi la tua percezione psichica, diventi psico-apatico e non reagisci più. E non capisci più la differenza fra il bene e il male, non c’è più differenza fra corteggiare una ragazza e stuprarla. Questa apatia è molto diffusa oggi tra i ragazzi.
In Svizzera il tasso di suicidi giovanili è fra i più alti al mondo ma si tende a non parlarne: è un errore?
Secondo me sì. Già nel 1909 Freud diceva che la scuola deve fare qualcosa di più che indurre i giovani al suicidio. A quell’età i ragazzi devono affrontare una trasformazione psichica enorme per la comparsa della sessualità, un lavoro complicatissimo, per cui la scuola non dev’essere un lavoro di vita ma un gioco di vita: un gioco con le sue regole. I pro- fessori devono smettere di fare i professori, pensando di trasmettere contenuti culturali da testa a testa: non si apre la testa se prima non si arriva al cuore. Devono esser capaci di affascinare, di trascinare, di “plagiare”: si impara per imitazione. Tutti noi abbiamo studiato con piacere le materie degli insegnanti che ci affascinavano e abbiamo trascurato le altre. I professori dovrebbero essere sottoposti a un test di personalità: se hanno queste caratteristiche, bene, se no non bisogna metterli a insegnare, perché demotivano gli studenti. La demotivazione è l’anticamera della depressione, la depressione è l’anticamera del suicidio.
E la famiglia?
La famiglia è sempre più disgregata, accudisce i bambini ma non parla con loro. I bambini crescono con un’afasia sentimentale, la sessualità viene esercitata prima che vi sia un accompagnamento psichico all’atto che si sta compiendo. È una sessualità materialistica, sganciata dall’apparato emozionale, e questo crea una dissociazione nei ragazzi. Spesso le famiglie vivono l’ansia che se proibiscono qualcosa i figli scappano di casa, ma se glielo concedono tornano alle quattro di notte. Per altro, oggi ci si sposa con quella cultura della libertà come revocabilità di tutte le scelte, per cui lo faccio già con la premessa che potrei divorziare. Però, è inutile girarci attorno, ogni divorzio crea dei problemi ai figli, soprattutto ai bambini prima dei 10 anni: se io ho orientato la mia affettività là e questi due se ne vanno, io dove la metto questa affettività?
Forse, in tutto questo le madri vengono caricate di responsabilità sempre maggiori, mentre i padri tendono a scomparire?
I padri hanno una cultura maschile, che è la cultura del fascismo. Perché i padri tornino a fare i padri è necessario che si abituino a entrare in rapporto con la loro parte femminile, così come le donne sono già entrate in rapporto con la loro parte maschile. Con la loro parte femminile gli uomini anzitutto capirebbero qualcosa del mondo delle donne, e poi nutrirebbero loro stessi: tutta la creatività proviene dalla nostra parte femminile. Se entrassero in questa dimensione, allora sì che troverebbero le parole giuste per i loro figli: non solo parole di ingiunzione, di rimprovero, di affermazione di sé o delle proprie abitudini mentali. Finché non faranno questo lavoro i maschi resteranno spiazzati.