Identità nazionale alle ortiche?
La Svizzera è un esempio di successo indiscutibile. Negli ultimi decenni, ma non solo, ha saputo (...)
Segue dalla Prima (...) gestire le sue diversità in modo costruttivo. Non sono differenze da poco: quattro lingue nazionali, e quindi quattro culture differenti; metà della popolazione cattolica e metà riformata; città e cantoni ricchi da una parte e cantoni rurali e meno ricchi dall’altra. Il tutto a macchia di leopardo. Ad altre latitudini queste differenze avrebbero portato alla disintegrazione della nazione. Nel nostro Paese questo non è successo. Anzi. È forse dovuto a un Dna particolare che ci accomuna da Chiasso a Basilea e dal Lago di Costanza a Ginevra? Forse solo in parte, anche perché abbiamo integrato con successo diverse ondate d’immigrazione. Le guerre del secolo scorso hanno certo rafforzato l’identità nazionale; la semi-deriva politica, burocratica e fiscale di diverse nazioni che ci circondano può certo giocare un ruolo. Ma evidentemente c’è dell’altro. Chi scrive ha lavorato all’estero per più di 30 anni: per questo sono convinto che la forte coesione della Svizzera sia da imputare ad un federalismo efficace e molto intelligente, che molti altri ci invidiano. Il federalismo significa anzitutto sussidiarietà verticale: le decisioni sono prese al livello più basso possibile, e questo responsabilizza gli organi locali e cantonali. Non per niente il nostro Ticino si chiama, ufficialmente, Repubblica e Cantone Ticino e ci riferiamo ad esso come a uno ‘Stato’ vero e proprio. Tuttavia per unire una nazione federalista con 8,5 milioni di abitanti occorrono dei ‘collanti’. I collanti sono diversi, anche se si sono modificati con il tempo. Ne cito alcuni: le Ferrovie Federali Svizzere, la Posta, la Swisscom (uscita dalla vecchia Ptt), l’Amministrazione delle dogane, l’esercito di milizia, le guardie di confine, le Scuole Universitarie Professionali, il sistema duale professionale/accademico, i tribunali federali, la decentralizzazione dell’Amministrazione Federale, i Politecnici e anche le Alte Scuole, il Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica, pro Helvetia, la stampa (di ottima qualità), e, non da ultime, la Radio e Televisione. Persino a livello universitario v’è un forte coordinamento da parte della Confederazione, che ha permesso alle nostre università di entrare nelle prime posizioni a livello internazionale. A livello cantonale la vecchia Radio Monteceneri, adesso Rsi, è stata un punto di riferimento fondamentale per il nostro Cantone negli anni Trenta e durante la Seconda Guerra Mondiale, quando era l’unica emittente indipendente e libera in un continente travolto dal fascismo e dal nazismo. Con Radio Londra, la Rsi ha tenuto alto il principio della dignità, della libertà e della democrazia in Europa. Mio padre mi riferiva che le famiglie si stringevano accanto ai primi apparecchi radio per ascoltare radio Monteceneri a riferire sulla progressione delle truppe di liberazione in Italia e in Normandia nel 1943 e 1944. Non dimentichiamo che se il prossimo 4 marzo 2018 passerà l’infelice iniziativa detta “No-Billag”, le nostre radio e televisione taceranno completamente a partire dal 1° gennaio 2019. I nostri padri, e i nostri nonni, che hanno trascorso mesi o anni di mobilitazione nelle due Guerre Mondiali, si rivolteranno nella tomba. La nostra coesione nazionale subirà un duro colpo. E saremo più poveri: i nostri apparecchi radio e televisori taceranno muti o parleranno con lingue e valori non più nostri. Non c’è nessun piano B, occorre ben saperlo. Subentreranno i gruppi stranieri a coprire il buco, e addio allora identità svizzera. Pensiamoci. Un sì, sarebbe una decisione irreversibile.