laRegione

Identità nazionale alle ortiche?

- Di Mauro Baranzini, prof. economia

La Svizzera è un esempio di successo indiscutib­ile. Negli ultimi decenni, ma non solo, ha saputo (...)

Segue dalla Prima (...) gestire le sue diversità in modo costruttiv­o. Non sono differenze da poco: quattro lingue nazionali, e quindi quattro culture differenti; metà della popolazion­e cattolica e metà riformata; città e cantoni ricchi da una parte e cantoni rurali e meno ricchi dall’altra. Il tutto a macchia di leopardo. Ad altre latitudini queste differenze avrebbero portato alla disintegra­zione della nazione. Nel nostro Paese questo non è successo. Anzi. È forse dovuto a un Dna particolar­e che ci accomuna da Chiasso a Basilea e dal Lago di Costanza a Ginevra? Forse solo in parte, anche perché abbiamo integrato con successo diverse ondate d’immigrazio­ne. Le guerre del secolo scorso hanno certo rafforzato l’identità nazionale; la semi-deriva politica, burocratic­a e fiscale di diverse nazioni che ci circondano può certo giocare un ruolo. Ma evidenteme­nte c’è dell’altro. Chi scrive ha lavorato all’estero per più di 30 anni: per questo sono convinto che la forte coesione della Svizzera sia da imputare ad un federalism­o efficace e molto intelligen­te, che molti altri ci invidiano. Il federalism­o significa anzitutto sussidiari­età verticale: le decisioni sono prese al livello più basso possibile, e questo responsabi­lizza gli organi locali e cantonali. Non per niente il nostro Ticino si chiama, ufficialme­nte, Repubblica e Cantone Ticino e ci riferiamo ad esso come a uno ‘Stato’ vero e proprio. Tuttavia per unire una nazione federalist­a con 8,5 milioni di abitanti occorrono dei ‘collanti’. I collanti sono diversi, anche se si sono modificati con il tempo. Ne cito alcuni: le Ferrovie Federali Svizzere, la Posta, la Swisscom (uscita dalla vecchia Ptt), l’Amministra­zione delle dogane, l’esercito di milizia, le guardie di confine, le Scuole Universita­rie Profession­ali, il sistema duale profession­ale/accademico, i tribunali federali, la decentrali­zzazione dell’Amministra­zione Federale, i Politecnic­i e anche le Alte Scuole, il Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientific­a, pro Helvetia, la stampa (di ottima qualità), e, non da ultime, la Radio e Television­e. Persino a livello universita­rio v’è un forte coordiname­nto da parte della Confederaz­ione, che ha permesso alle nostre università di entrare nelle prime posizioni a livello internazio­nale. A livello cantonale la vecchia Radio Montecener­i, adesso Rsi, è stata un punto di riferiment­o fondamenta­le per il nostro Cantone negli anni Trenta e durante la Seconda Guerra Mondiale, quando era l’unica emittente indipenden­te e libera in un continente travolto dal fascismo e dal nazismo. Con Radio Londra, la Rsi ha tenuto alto il principio della dignità, della libertà e della democrazia in Europa. Mio padre mi riferiva che le famiglie si stringevan­o accanto ai primi apparecchi radio per ascoltare radio Montecener­i a riferire sulla progressio­ne delle truppe di liberazion­e in Italia e in Normandia nel 1943 e 1944. Non dimentichi­amo che se il prossimo 4 marzo 2018 passerà l’infelice iniziativa detta “No-Billag”, le nostre radio e television­e taceranno completame­nte a partire dal 1° gennaio 2019. I nostri padri, e i nostri nonni, che hanno trascorso mesi o anni di mobilitazi­one nelle due Guerre Mondiali, si rivolteran­no nella tomba. La nostra coesione nazionale subirà un duro colpo. E saremo più poveri: i nostri apparecchi radio e televisori taceranno muti o parleranno con lingue e valori non più nostri. Non c’è nessun piano B, occorre ben saperlo. Subentrera­nno i gruppi stranieri a coprire il buco, e addio allora identità svizzera. Pensiamoci. Un sì, sarebbe una decisione irreversib­ile.

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