Il mercato italiano è una chimera per le banche svizzere
L’entrata in vigore della Mifid II ha introdotto la possibilità di costituire una ‘branch’ che ha il vantaggio di maggior chiarezza giuridica
L’accesso al mercato finanziario italiano era un punto prioritario dei negoziati tra Svizzera e Italia, come del resto sottolineato nell’ormai famosa ‘road map’ firmata dai due governi nel febbraio 2015. Non è andata come sperato dalla piazza finanziaria ticinese che probabilmente sopravvalutava la volontà di liberalizzazione dei vicini italiani. Dopo mesi di negoziati, l’occasione per tradurre in pratica la volontà sottoscritta soltanto un paio di anni prima con la Svizzera era data dal recepimento nell’ordinamento italiano della direttiva comunitaria Mifid II. Cosa che è avvenuta con l’approvazione del Decreto legislativo 129/2017 lo scorso agosto e che con sommo rammarico della piazza finanziaria non agevola di molto gli operatori finanziari non Ue. Se le banche svizzere, o gli altri intermediari finanziari, intendono seguire attivamente la loro clientela crossborder in Italia, dal primo di gennaio lo potranno fare solo se hanno una stabile organizzazione in loco. Questo, in estrema sintesi, è quanto previsto dal Tub (Testo unico bancario) e dal Tuf (Testo unico finanziario), la legislazione settoriale in vigore in Italia dal prossimo gennaio. «Una situazione che non soddisfa l’intero settore finanziario svizzero che non è fatto solo di grandi banche», ha spiegato il presidente dell’Associazione bancaria ticinese, Alberto Petruzzella, in apertura di due giornate di studio sul tema organizzate presso il Centro di studi bancari di Vezia. «Il sistema bancario svizzero ha fatto la sua parte quando bisognava convincere la clientela a passare in un ‘nuovo mondo’, più trasparente. La contropartita era l’accesso al mercato che non è arrivato», ha commentato Alberto Petruzzella.
Dalla passività, alla succursale
Alessandro Bizzozero,
Per già professore all’Università di Ginevra ed ex collaboratore della Commissione federale delle banche (ora Finma), il quadro giuridico italiano è tale che molto probabilmente la maggior parte degli operatori finanziari rinuncerà a una stabile organizzazione in forma di ‘branch’, che non è una vera e propria filiale. «La Finma – spiega Bizzozero – parte dal presupposto che le banche svizzere, indipendentemente dal quadro regolatorio dei singoli mercati, abbiano una strategia di approccio compatibile con gli impegni che la Svizzera ha preso a livello internazionale». «Nel caso italiano, per esempio, rimangono quattro soluzioni: passività nei confronti della clientela italiana ovvero lasciare che siano i singoli clienti ad attivarsi; creare un’affiliata secondo il diritto italiano; costituire un’affiliata di diritto
europeo oppure aprire una succursale (branch)». Partendo dal presupposto che le prime due soluzioni sono maggiormente praticabili dalle grandi banche che si trovano già nella situazione di avere strutture multinazionali, per gli altri operatori (compresi i gestori patrimoniali) non rimane
che optare per ‘la passività’ o la costituzione di una branch puramente commerciale. Quest’ultima, secondo Davide Contini, avvocato di Milano, intervenuto al convegno di Vezia, ha comunque il pregio – al netto della burocrazia e della diversità di approccio legale da una parte e dall’altra della frontiera – di portare una sicurezza giuridica (per istituti e clienti) che prima non c’era, nemmeno in regime di Libera prestazione di servizio. «L’attività di consulenza patrimoniale crossborder tra Italia e Svizzera si è sempre situata in una zona grigia», ha precisato. La succursale, par di capire, è comunque un passo avanti.