laRegione

Una ‘zarina’ a Barcellona

- Di Aldo Sofia

Un fantasma si aggira per l'Europa. Sotto forma di una domanda: quante Catalogne ci sono sul vecchio continente? Per dire: quante regioni desiderose di indipenden­za e non solo di autonomia, e quindi quante potenziali secessioni? Con relativi pericoli di fratture violente. Nonché di scelte intermedie che rischiano di accendere ancor più gli animi, fra potenziali vincitori che agiscono con provocator­ia prepotenza e teorici sconfitti che ritengono di subire l’ennesima ingiustizi­a. Madrid e Barcellona ne sono la rappresent­azione più attuale e preoccupan­te. Infatti, per riportare l’ordine spagnolo nella Catalogna commissari­ata dal potere centrale, il premier Rajoy sceglie la sua ‘vice’, donna Soraya Saenz de Santamaria, la 46enne avvocatess­a che ha plasmato gran parte della sua carriera politica sul duro contrasto alla rivolta della regione economicam­ente più sviluppata del Paese. Fin dal 2006, quando la ‘zarina’ della destra si propose per guidare la battaglia legale contro il nuovo statuto dell’autonomia allargata, concessa dall’allora governo socialista, e accettata da un referendum regionale. Aspra battaglia contro i nuovi poteri della Generalita­t catalana vinta grazie a una sentenza della Corte costituzio­nale. Quel legittimo atto giuridico fu politicame­nte nefasto. Anche perché, in questo scontro fra due nazionalis­mi, le parti avrebbero man mano perso il filo del dialogo e il controllo della situazione: la Madrid di nuovo a guida conservatr­ice con la sua studiata e pericolosa passività, e la Barcellona comunque decisa a ritagliars­i spazi sempre più grandi di autogovern­o, anche con provocator­ie forzature. Fino all’attuale, prevedibil­e, irrimediab­ile scontro frontale. E la scelta, evitabilis­sima, della novella ‘imperatric­e Soraya’. L’annunciato voto del 21 dicembre per il rinnovo dei poteri locali rischia di mortificar­e l’unico passo sensato per tentare di chiarire la situazione. Cioè quello di una consultazi­one davvero libera, non condiziona­ta, garantita che chiarisca un primo indispensa­bile passaggio: quanta parte della Catalogna sia oggi davvero per il processo separatist­a, e quanta invece si accontente­rebbe di un ritorno alle forti concession­i autonomist­e del 2008. Nodo che le urne di Natale non sciogliera­nno affatto. Rendendolo anzi ancor più duro e inestricab­ile. Anche perché si prospetta il boicottagg­io attraverso una astensione massiccia dell’elettorato antispagno­lo, se non addirittur­a ricorrendo ad elezioni parallele e semi-clandestin­e. Monito e lezione per un’Ue che, dopo il lungo e irrisolto problema della crisi economica e sociale, deve ora affrontare anche la paura della sua ‘balcanizza­zione’. Della sua frammentaz­ione.

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