Nel collimatore
Come nell’Eurozona, anche negli Stati Uniti l’inflazione è insufficientemente elevata. Dalla “grande recessione”, la componente “core” (ex energia e prodotti alimentari) della misura considerata dalla Fed, la crescita annuale del deflatore dei consumi personali, ha solo occasionalmente superato l’obiettivo del 2%. Ha soprattutto registrato un netto calo quest’anno. La situazione congiunturale è tuttavia propizia a un rialzo dell’inflazione. Le statistiche d’attività e le inchieste presso le imprese mostrano che gli Stati Uniti continuano a crescere a un ritmo solido. L’economia ha superato il pieno impiego nel 2016 e il sotto-impiego è in continuo calo. Mentre le misure aggregate più accurate dei salari mostrano tassi di crescita in termini reali di nuovo ai livelli pre-crisi, le imprese continuano ad assumere e iniziano ad anticipare aumenti dei prezzi nettamente più elevati che negli scorsi cinque anni. Seppur anche gli Stati Uniti non sfuggano alla globalizzazione delle catene di distribuzione, le condizioni strutturali sono pure favorevoli a un rialzo dell’inflazione. La flessibilità del mercato del lavoro immunizza gli Stati Uniti dalla disoccupazione strutturale. L’invecchiamento della popolazione limita la crescita della forza lavoro. Questo contesto tutto sommato stabile rende affidabili le proiezioni basate sui dati storici. Mostrano in generale un agevole ma non istantaneo ritorno dell’inflazione all’obiettivo del 2%, contrariamente all’Eurozona dove l’inflazione resta invece un miraggio per ragioni strutturali. Questa messa a fuoco fornisce materia di riflessione per chi ha acquistato euro/dollaro considerando irrealistici i piani di massima di rialzo del tasso di riferimento per i prossimi duetre anni comunicati dalla Fed.