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Trasformaz­ioni digitali fra timori e opportunit­à

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Si parla molto della trasformaz­ione digitale, anche se probabilme­nte sarebbe più corretto declinare il tutto al plurale, perché vi sono molte trasformaz­ioni in atto che rimettono in discussion­e numerosi modelli economici e sociali che sembravano molto consolidat­i. Le paure sono legittime e umanamente comprensib­ili quando ci si trova di fronte a cambiament­i epocali, oltretutto di rapidità inedita. Questo non deve però distoglier­e dall’osservazio­ne più fattuale degli eventi. Ad esempio si cita spesso la deindustri­alizzazion­e in Europa (Svizzera compresa), mentre in realtà è più una mutazione (non certamente la prima) che una fine vera e propria dell’industria. Un noto sociologo, ingegnere ed economista francese, Pierre Veltz, ha recentemen­te pubblicato un libro molto interessan­te, intitolato “La société hyper-industriel­le” (con il sottotitol­o “Le nouveau capitalism­e productif”). Egli indica come in realtà non vi sia una regression­e dell’industria, ma una profonda trasformaz­ione, soprattutt­o della sua organizzaz­ione. La rivoluzion­e in atto e con la quale dobbiamo confrontar­ci concerne sì l’automatizz­azione di taluni compiti lavorativi, ma soprattutt­o le opportunit­à derivanti dalle reti di comunicazi­one che agevolano ulteriorme­nte la dispersion­e della produzione in tutto il mondo, l’inclusione dell’utilizzato­re nei cicli di produzione e la ricezione costante dei dati di utilizzo grazie alle varie piattaform­e di scambio di dati. La tesi è che l’industria starebbe diventando un servizio come gli altri, mentre molti servizi si organizzer­ebbero secondo criteri industrial­i, rendendo sempre più difficile la distinzion­e fra i due rami economici. Spunto certamente opinabile ma comunque interessan­te, perché permette di capire che la trasformaz­ione digitale non è per forza negativa, ma permette sviluppi anche impensabil­i. Non è del resto un caso che si parli sempre più spesso di “reshoring”, ossia di rimpatrio in Europa di attività industrial­i esportate anni fa verso quelli che erano considerat­i paesi a basso costo di produzione. La trasformaz­ione digitale rende talune attività economiche meno costose e quindi rilancia la competitiv­ità europea a livelli di costi. Anche in Svizzera vi sono vari esempi di questo tipo, a partire dalla crema di Ovomaltina da spalmare sul pane, di nuovo prodotta in Svizzera dopo essere stata “esportata” in Belgio. Vero che non sempre questo è accompagna­to da spettacola­ri creazioni di posti di lavoro dal punto di vista quantitati­vo, ma nel caso dell’Ovomaltina vi sono comunque cinque nuovi posti di lavoro nel canton Berna. E cinque è meglio di zero, anche perché comunque ciò permette di riportare nel nostro paese determinat­e competenze. Anche di questo occorre tenere conto quando si parla di trasformaz­ione digitale.

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Luca Albertoni, direttore della Cc-Ti

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