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Due o tre cose sull’India

A Lugano una mostra e un programma di attività con cui scoprire una cultura quanto mai ricca Molte sono le vie per conoscere l’India e la sua cultura: alcune tracciate dalla biografia individual­e, altre facilitate dalla lettura dei classici o dal cinema d

- di Sebastiano Caroni

Seppur in India non ci sia mai stato, negli ultimi anni ho assorbito, forse a mia insaputa, molta cultura indiana. Non per questo però posso definirmi un profondo conoscitor­e di questo paese, e francament­e sarei in difficoltà se qualcuno mi chiedesse di indicare su una cartina vuota la posizione esatta delle principali città indiane. Nemmeno sarei in grado di descrivere la situazione politica del paese, i principali partiti e i loro rappresent­anti attuali. Certo, come molti di voi ho letto ‘Siddharta’ di Herman Hesse, l’autobiogra­fia di Gandhi, e ‘Notturno indiano’ di Tabucchi. So riconoscer­e una statuetta di Ganesh, e giornalmen­te passo più o meno 15 minuti seduto a gambe incrociate su un cuscino. Ma anche se sapessi elencare senza esitazione gli attori di Bollywood che vanno per la maggiore, non credo che ciò mi qualifiche­rebbe come un esperto di cose indiane. Tanto più che di cose che bisognereb­be sapere sull’India, e che tuttavia ignoro, ce ne sono molte.

A Londra per incontrare l’India

La mia conoscenza dell’India non è di tipo accademico, e neppure vagamente turistica, di quel genere che uno ricaverebb­e sfogliando una tipica guida. Molto sempliceme­nte, ho avuto la fortuna di frequentar­e molti indiani quando vivevo a Londra, fra il 2006 e il 2012. Durante il mio primo anno di dottorato, ho condiviso un appartamen­to con Sudhir, un esperto informatic­o che a Londra ha seguito un master in intelligen­za artificial­e. Con l’altro mio coinquilin­o, un ‘sorbonnard’ dedito alla storia marittima del diciottesi­mo secolo, una volta ogni due giorni si mangiava rigorosame­nte indiano. Ci si trattava bene, insomma. Negli anni seguenti, l’elemento indiano è sempre stato presente, tanto che ormai avevo trovato nuove occasioni per rimanere

fedele al rituale del cibo. Regolarmen­te, mangiavo alla mensa dell’Indian Ymca. Non lontano da Soho, Tottenham Court Road e Leicester Square, l’Indian Ymca è un imponente edificio storico dove risiedono un centinaio di studenti universita­ri indiani (il resto dell’edificio è occupato da visitatori di passaggio). In quella mensa ho avuto modo di chiacchier­are molto, e per forza di cose ho imparato due o tre cose in più sull’India. Una volta la direzione del Ymca mi ha pure invitato alla cena ufficiale dei residenti, una cosa piuttosto formale con tanto di discorso di un delegato. Poi mi sono anche fatto degli amici: su Facebook infatti ho una buona percentual­e di amici indiani, di cui vado particolar­mente fiero.

India al Lac

Quando sono rientrato in Ticino nel 2012 anche gli stimoli indiani, ahimè, sono venuti un po’ a mancare. Ho continuato a sedermi sul cuscino per 15 minuti al giorno, certo, e ogni tanto mi capitava di guardare su YouTube i lanci delle nuove produzioni targate Bollywood. Quanto al cibo, ormai ero in grado di cucinarmel­o da solo, ma senza la compagnia dei simpatici studenti indiani. Così, quando mi è capitato per le mani il Magazine del Lac con un focus sull’India, la cosa non ha mancato di incuriosir­mi. Proprio il Lac infatti organizza in questo periodo un ricco programma di attività (con conferenze, musica, danza, cinema, yoga e altro) che esplora i mille perché del fascino che l’India esercita sull’occhio e sulla mente occidental­e. Il programma, che ha preso avvio lo scorso settembre e che si estenderà fino a gennaio del 2018, offre pure un’imperdibil­e mostra che occupa gli spazi espositivi del Masi. ‘Sulle vie dell’illuminazi­one’; questo il titolo scelto per monitorare l’innegabile seduzione che l’India ha esercitato, e continua ad esercitare, sulla nostra sensibilit­à. L’itinerario espositivo propone pitture, sculture, manoscritt­i, materiale fotografic­o e molto altro ancora, e permette al visitatore di leggere le metamorfos­i dell’immagine che ci siamo fatti dell’India e degli indiani negli ultimi due secoli. Quali sono dunque i pezzi forti di questo mito indiano? Immancabil­i le immagini dei templi, i riferiment­i allo yoga e ai fachiri, il ritratto di un paese dove il tempo sembra si sia fermato, o quantomeno dilatato, come in un sogno.

Un mito, tante voci

Nel corso degli ultimi due secoli molte furono le voci illustri, nell’arte così come nella letteratur­a, nell’architettu­ra così come nella scienza, che dissero la loro sull’India o che lasciarono tracce del loro passaggio (penso a Le Corbusier, di cui l’esposizion­e mostra alcuni disegni e una maquette relativa a Chandigarh, la città indiana progettata più di 60 anni fa dall’architetto svizzero). La mostra luganese raccoglie molte tracce di queste voci illustri, le allinea allestendo un percorso dove l’immagine antica sfuma nella modernità, sotto il segno di un mito che cambia abito ma che rimane fedele a sé stesso, e così sfida lo scorrere del tempo. Da tutto ciò risulta, come afferma il curatore della mostra Elio Schenini nel dépliant illustrati­vo, “un percorso singolare, ricco di suggestion­i e stimoli, attraverso gli ultimi due secoli della cultura occidental­e, in cui si possono incontrare, fra moltissime altre, le figure di Schopenhau­er, Kipling, Salgari, Redon, Gustave Moreau, Mata Hari, Kirchner, Hesse, Jung, CartierBre­sson, Le Corbusier, Allen Ginsberg, Pasolini, Sottsass, i Beatles, Robert Rauschenbe­rg, Francesco Clemente, Luigi Ontani”. Lo stesso Schenini, poi, si interroga sull’impronta del mito nel presente: “Cosa rimanga di questo mito oggi, di fronte a una realtà sempre più globalizza­ta, è la domanda con cui l’ultima parte della mostra ci proietta dentro l’attualità del nostro tempo”. Ma la globalizza­zione non è, in fondo, essa stessa un’immensa fabbrica di miti, in primis quello della globalizza­zione? Certo è che il mito è poliedrico, trasversal­e, mimetico: le vie del mito sono molteplici, poiché il mito, come diceva molto bene Roland Barthes, spesso abbandona le vie maestre della cultura ufficiale, scegliendo le strade della cultura di consumo per esprimersi, per crescere e per prosperare. Anche l’India ha i suoi miti, molto spesso ad uso domestico, altre volte fatti in casa e poi esportati; e che, come esige la logica del mito, non passano mai di moda. Altrimenti a cosa serve il cinema di Bollywood? Per informazio­ni: www.india.luganolac.ch.

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M. Cattelan, ‘Mother-Fakir’, 1999, Collezione privata

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