laRegione

La lectio magistrali­s di Roberto Vecchioni

- Di Beppe Donadio

Per salutare cita Madre Teresa, Pasternak, Apollinair­e, Orazio e Boccaccio. Dev’essere la conformazi­one d’ateneo della sala, habitat di un professore. Applaude il suo pubblico, Roberto Vecchioni al Lac, lui felice di «una tradizione antichissi­ma che si ripete ogni due anni», lei – la sala – generosa e con gli smartphone spenti, un po’ per regola ferrea e un po’ per rispetto del relatore. ‘La vita che si ama Tour’ (che si deve a GC Events, con piacevole fissa per i cantautori) è il sunto di un libro, da cui il titolo del live, e di un album allegato (‘Canzoni per i figli’, 9 brani editi e la nuova ‘Che c’eri sempre’ scritta per la madre, recitata al Lac in dirittura d’arrivo). Ma c’è un “È tutto finito, non c’è più niente” udito a teatro – partito dall’idiosincra­sia per la tecnologia per arrivare al tempo di oggi («non è più per me») – che allarga il sunto a ‘Io non appartengo più’, album del 2011 che per disillusio­ne ricorda l’ultimo Gaber, e dal quale sembrano partire le istruzioni per l’uso della vita contenute nel libro. Ha una battuta per tutti e per tutto, il professore. Per i selfie («le ragazze si fotografan­o tutto tranne l’anima, la sola cosa che le rende uniche»), per la deriva del linguaggio («sono latinista e grecista, ma “bifidus actiregula­ris” non l’ho mai sentito», gradito riciclo di ChiassoLet­teraria 2016) e per i separazion­isti: «il mio condominio vuole l’indipenden­za, dice che mantiene tutta Milano». L’invito del professore ad aprire, invece che a chiudere, precede ‘Sogna ragazzo sogna’, sunto della sua fiducia nei giovani, quelli che «devono prenderci per mano». Il tempo effettivo della lectio magistrali­s è più ampio di quello musicale. E in fondo siamo a teatro, non al Palasport. Garantite ‘Stranamore’, ‘Luci a San Siro’ e ‘Samarcanda’, l’amore come da tradizione: quello per le donne, cantato quasi per allitteraz­ione in ‘La mia ragazza’ e ‘Le mie ragazze’, la seconda dedicata a Franca Rame e a tutte le non più ventenni che “se ha tentato di fregarle il tempo, hanno fottuto il tempo con l’amore”; quello di ‘Due madri’ – la figlia Francesca, cantata poco prima in ‘Figlia’, e l’ex compagna – dedicato a Nina e Cloe, che «hanno nomi strani perché è strana la mamma», dice il nonno; l’amore per un figlio, nella dolorosa ‘Le rose blu’. Sparse qua e là le opere di mezzo secolo, con ‘Chiamami ancora amore’ – in ponte sanremese con ‘L’uomo che si gioca il cielo a dadi’ – a dare speranza che non proprio tutto è finito.

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‘La vita che si ama tour’

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