Il fattore umano
Esattamente cent’anni fa l’insurrezione bolscevica portava il proletariato al potere in Russia, là dove non ci si aspettava. Era la Rivoluzione d’ottobre, da cui sarebbero scaturiti l’Urss e un secolo di comunismo. Un fatto epocale eppure lontano, superat
La storia la ricorda come Rivoluzione d’ottobre perché, secondo il calendario giuliano, si è prodotta fra il 24 e il 25 ottobre 1917 con l’insurrezione bolscevica che ha messo fine all’instabilità politica seguita alla destituzione dello zar, nel febbraio precedente. Secondo il calendario gregoriano, il nostro, erano il 6 e il 7 novembre, esattamente 100 anni fa. Certo, a quei due giorni decisivi, in cui i comunisti prendono il potere in un Paese quanto mai frammentato, sarebbero seguiti l’aggressione delle potenze straniere e anni di guerra civile, ma in quel momento l’ideale bolscevico prende forma e si consolida in forma politica, destinato a plasmare con la sua luce e le sue disfatte tutto il Novecento. Per ricordare l’enorme portata storica di quei fatti – le loro premesse, il loro significato e le conseguenze di lungo periodo che hanno prodotto, incidendo sulla nostra stessa esistenza – a Bellinzona si è da poco aperto un ciclo di incontri e proiezioni cinematografiche dal titolo ‘In nome del popolo: dalla Rivoluzione d’ottobre al populismo’. La prima conferenza è in programma alla Biblioteca cantonale domani alle 18.30 e vedrà ospite Angelo D’Orsi, professore di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. Fra le sue pubblicazioni recenti, ‘1917. L’anno della Rivoluzione’ (Laterza, 2016) e ‘Gramsci, una nuova biografia’ (Feltrinelli, 2017). Gli abbiamo rivolto alcune domande.
Anche nella presentazione di questo ciclo di conferenze si fa riferimento alla “attualità” dell’impatto prodotto dalla Rivoluzione. Al di là del luogo comune, in che senso quei fatti e ciò che hanno prodotto sono attuali?
Il termine “attuale” è spesso abusato. Potrem- mo però dire che il significato della Rivoluzione bolscevica d’ottobre, in questo senso “attuale”, sta anzitutto nel fatto che le cose accadono anche là dove non te le aspetti, nei modi e nelle forme che non ti aspetti. La seconda rivoluzione è stata un fatto talmente grosso che nessuno si aspettava non tanto lo sconvolgimento in sé quanto le sue conseguenze, sono quelle ad essere importanti. La teoria storiografica ci insegna che non tutti gli avvenimenti sono da considerare fatti storici; sono fatti storici soltanto quegli avvenimenti che producono effetti di lungo periodo. Non c’è dubbio che quello è stato un fatto storico, in esso ci sono alcuni messaggi importanti. Il primo, che ci riconduce all’attualità, è che con quella rivoluzione una sterminata massa di popolo, un popolo di invisibili, di soggiogati da secoli di oppressione assoluta, improvvisamente viene alla luce. Ora, quanti milioni di invisibili esistono oggi sulla faccia della Terra? Sono tanti e possono risvegliarsi da un momento all’altro, e salire sul proscenio. La Rivoluzione d’ottobre ci dice poi quanto conti l’individuo nella storia, noi spesso lo dimentichiamo. Io lo definirei un gioco triadico: contano i contesti, conta il caso e conta l’individuo. In queso senso, non c’è dubbio che se Lenin non fosse tornato in Russia la Rivoluzione non si sarebbe prodotta; quello che emerge dai documenti e dalle testimonianze è la centralità del ruolo giocato da Lenin.
Ci si chiede spesso che cosa resti degli ideali che hanno ispirato la Rivoluzione, dopo il famoso “crollo delle ideologie”, e la domanda sembra già presupporre una risposta. Piuttosto, quali di quegli ideali si sono nonostante tutto realizzati, plasmando pure la società capitalista in cui noi viviamo?
In realtà, se vuole io accetto anche la sfida della prima domanda.
Volentieri...
Potrei rispondere come fece il mio maestro, Norberto Bobbio, nel giugno del 1989, ancor prima del crollo del Muro. Davanti ai fatti di Piazza Tienanmen, lui scrisse che era da stolti rallegrarsi di quel che stava accadendo, dicendo magari “l’avevamo sempre detto che prima o poi il comunismo sarebbe caduto”. Quello che stava cadendo, aggiungeva, era il comunismo storico, non il comunismo come ideale di liberazione di immense masse di esseri umani. Quel bisogno a cui il comunismo, nelle forme sbagliate se vogliamo, ha cercato di dare risposta, rimane intatto. Ecco, questa è una risposta che secondo me vale sempre.
E a proposito del secondo quesito?
Dobbiamo pensare che con la Rivoluzione d’ottobre nasce il primo ministero del welfare nella storia dell’umanità, affidato ad Aleksandra Kollontaj, rivoluzionaria e femminista, il primo ministro donna nella storia: questo è un dato importante. Un altro elemento è che la Rivoluzione mette fine alla plurisecolare tradizione della diplomazia segreta: i patti, i trattati, gli accordi erano sempre sottoscritti tra le teste coronate, tra i “capi”, ed erano sempre segreti. Una delle prime decisioni del governo bolscevico è stata di mettere in piazza tutti i trattati sottoscritti dagli zar, fra i quali quello del 1916 con cui Francia e Gran Bretagna si spartivano il Medio Oriente tracciando una linea retta: da lì nascerà la questione palestinese, tutt’ora sotto i nostri occhi. Oppure ancora alla Rivoluzione risale il riconoscimento fondamentale dei proletari; il proletariato urbano, benché fosse minoranza, svolse un ruolo centrale, d’avanguardia. Ancora oggi, anche se sentiamo ripetere che gli operai sono una classe in via d’estinzione, superati dal terziario e cancellati dalla robotica, le sole azioni collettive che fanno davvero paura al potere sono quelle degli operai di fabbrica, in particolare degli operai metallurgici.
Questo conferma che nessun fatto storico è senza conseguenze e anche il nostro sistema politico e sociale, la nostra stessa quotidianità, non sarebbero gli stessi se non ci fosse stata quella Rivoluzione?
Certo, in fondo la Storia è un mosaico, un frullato, e tanti elementi si intridono fra loro, si mescolano e si confondono. Questo è anche il bello della Storia. E non c’è dubbio che pure nelle società liberali o liberal-democratiche – potrà sembrare bizzarro – sia passato un pezzo non irrilevante di bolscevismo.
Visto che, come lei afferma, il fattore umano nella Storia è determinante, sarebbe stato possibile evitare la deriva autoritaria rappresentata da Stalin?
Questa è la domanda più difficile, per quanto venga spontanea. Certo, anche Stalin ci dice che l’individuo conta, non c’è dubbio che in quel momento si è innescato un gioco di personalità. Lui prende il potere malgrado l’avvertimento di Lenin, che aveva messo in guardia da Stalin nel suo cosiddetto testamento; sono vicende storiche che rinviano al caso, alla destrezza di Stalin nell’impossessarsi di quel documento e nasconderlo, e a un contesto in cui Lenin si ammala e muore troppo presto. Inevitabilmente questo è un caso in cui si dovrebbe esercitare la storia controfattuale, o storia ipotetica – che cosa sarebbe successo se...? – che non è un gioco sciocco. A differenza di altri, io ritengo che non ci sia una continuità fra Lenin e Stalin, credo che ci sia una rottura, anche se non su tutti i piani. C’era un contesto che faceva sentire Lenin obbligato a compiere certe scelte, dopodiché arriva Stalin e di nuovo è l’individuo che conta: alla fine lui, con la sua paranoia, è stato il più grande massacratore di bolscevichi, ha cancellato un’intera classe dirigente bolscevica, sia politica che militare, compresa l’élite dell’Armata Rossa che aveva resistito all’assedio delle potenze imperialistiche e combattuto la contro-rivoluzione; e questa sarà una causa delle disastrose sconfitte del primo periodo della guerra con la Germania nazista.
Le premesse dunque non rendevano inevitabile la comparsa di uno Stalin?
No, è stato un gioco di fattori: contesto, caso e individuo. Di certo Stalin aveva delle abilità e non era solo un macellaio, è stato un personaggio che ha saputo fare politica. Ad esempio ha sottolineato l’importanza della questione etniconazionale, riprendendo un avvertimento di Lenin, secondo il quale il nazionalismo sarebbe stato la forza dominante del ventesimo secolo. Stalin ha riscosso ammirazione universale, basti vedere i necrologi quando muore nel 1953, perché è stato effettivamente colui che ha sconfitto Hitler, anche nel suo cinismo di buttare sull’altare del sacrificio oltre venti milioni di suoi concittadini; e questo viene riconosciuto da tutta la storiografia liberale.
Gioco per gioco, facciamo un salto di qualche decennio. La scommessa di Gorbaciov era destinata a quell’epilogo tragico?
Dire che era inevitabile significherebbe cadere nel “senno di poi”. Certo, Gorbaciov ha acceso molte speranze ma si è dimostrato assolutamente incapace di gestire la situazione. Ha messo in moto un meccanismo che non era in grado di governare, e ha fatto una serie di errori catastrofici che hanno prodotto quelle conseguenze. Tra l’altro, intristisce pensare che personaggi che per un certo momento sono sembrati assurgere al livello di leader mondiali, poi si riducono a fare i conferenzieri iperpagati in giro per il mondo. Come chiusura è molto triste.