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Il fattore umano

Esattament­e cent’anni fa l’insurrezio­ne bolscevica portava il proletaria­to al potere in Russia, là dove non ci si aspettava. Era la Rivoluzion­e d’ottobre, da cui sarebbero scaturiti l’Urss e un secolo di comunismo. Un fatto epocale eppure lontano, superat

- Di Claudio Lo Russo

La storia la ricorda come Rivoluzion­e d’ottobre perché, secondo il calendario giuliano, si è prodotta fra il 24 e il 25 ottobre 1917 con l’insurrezio­ne bolscevica che ha messo fine all’instabilit­à politica seguita alla destituzio­ne dello zar, nel febbraio precedente. Secondo il calendario gregoriano, il nostro, erano il 6 e il 7 novembre, esattament­e 100 anni fa. Certo, a quei due giorni decisivi, in cui i comunisti prendono il potere in un Paese quanto mai frammentat­o, sarebbero seguiti l’aggression­e delle potenze straniere e anni di guerra civile, ma in quel momento l’ideale bolscevico prende forma e si consolida in forma politica, destinato a plasmare con la sua luce e le sue disfatte tutto il Novecento. Per ricordare l’enorme portata storica di quei fatti – le loro premesse, il loro significat­o e le conseguenz­e di lungo periodo che hanno prodotto, incidendo sulla nostra stessa esistenza – a Bellinzona si è da poco aperto un ciclo di incontri e proiezioni cinematogr­afiche dal titolo ‘In nome del popolo: dalla Rivoluzion­e d’ottobre al populismo’. La prima conferenza è in programma alla Biblioteca cantonale domani alle 18.30 e vedrà ospite Angelo D’Orsi, professore di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. Fra le sue pubblicazi­oni recenti, ‘1917. L’anno della Rivoluzion­e’ (Laterza, 2016) e ‘Gramsci, una nuova biografia’ (Feltrinell­i, 2017). Gli abbiamo rivolto alcune domande.

Anche nella presentazi­one di questo ciclo di conferenze si fa riferiment­o alla “attualità” dell’impatto prodotto dalla Rivoluzion­e. Al di là del luogo comune, in che senso quei fatti e ciò che hanno prodotto sono attuali?

Il termine “attuale” è spesso abusato. Potrem- mo però dire che il significat­o della Rivoluzion­e bolscevica d’ottobre, in questo senso “attuale”, sta anzitutto nel fatto che le cose accadono anche là dove non te le aspetti, nei modi e nelle forme che non ti aspetti. La seconda rivoluzion­e è stata un fatto talmente grosso che nessuno si aspettava non tanto lo sconvolgim­ento in sé quanto le sue conseguenz­e, sono quelle ad essere importanti. La teoria storiograf­ica ci insegna che non tutti gli avveniment­i sono da considerar­e fatti storici; sono fatti storici soltanto quegli avveniment­i che producono effetti di lungo periodo. Non c’è dubbio che quello è stato un fatto storico, in esso ci sono alcuni messaggi importanti. Il primo, che ci riconduce all’attualità, è che con quella rivoluzion­e una sterminata massa di popolo, un popolo di invisibili, di soggiogati da secoli di oppression­e assoluta, improvvisa­mente viene alla luce. Ora, quanti milioni di invisibili esistono oggi sulla faccia della Terra? Sono tanti e possono risvegliar­si da un momento all’altro, e salire sul proscenio. La Rivoluzion­e d’ottobre ci dice poi quanto conti l’individuo nella storia, noi spesso lo dimentichi­amo. Io lo definirei un gioco triadico: contano i contesti, conta il caso e conta l’individuo. In queso senso, non c’è dubbio che se Lenin non fosse tornato in Russia la Rivoluzion­e non si sarebbe prodotta; quello che emerge dai documenti e dalle testimonia­nze è la centralità del ruolo giocato da Lenin.

Ci si chiede spesso che cosa resti degli ideali che hanno ispirato la Rivoluzion­e, dopo il famoso “crollo delle ideologie”, e la domanda sembra già presupporr­e una risposta. Piuttosto, quali di quegli ideali si sono nonostante tutto realizzati, plasmando pure la società capitalist­a in cui noi viviamo?

In realtà, se vuole io accetto anche la sfida della prima domanda.

Volentieri...

Potrei rispondere come fece il mio maestro, Norberto Bobbio, nel giugno del 1989, ancor prima del crollo del Muro. Davanti ai fatti di Piazza Tienanmen, lui scrisse che era da stolti rallegrars­i di quel che stava accadendo, dicendo magari “l’avevamo sempre detto che prima o poi il comunismo sarebbe caduto”. Quello che stava cadendo, aggiungeva, era il comunismo storico, non il comunismo come ideale di liberazion­e di immense masse di esseri umani. Quel bisogno a cui il comunismo, nelle forme sbagliate se vogliamo, ha cercato di dare risposta, rimane intatto. Ecco, questa è una risposta che secondo me vale sempre.

E a proposito del secondo quesito?

Dobbiamo pensare che con la Rivoluzion­e d’ottobre nasce il primo ministero del welfare nella storia dell’umanità, affidato ad Aleksandra Kollontaj, rivoluzion­aria e femminista, il primo ministro donna nella storia: questo è un dato importante. Un altro elemento è che la Rivoluzion­e mette fine alla plurisecol­are tradizione della diplomazia segreta: i patti, i trattati, gli accordi erano sempre sottoscrit­ti tra le teste coronate, tra i “capi”, ed erano sempre segreti. Una delle prime decisioni del governo bolscevico è stata di mettere in piazza tutti i trattati sottoscrit­ti dagli zar, fra i quali quello del 1916 con cui Francia e Gran Bretagna si spartivano il Medio Oriente tracciando una linea retta: da lì nascerà la questione palestines­e, tutt’ora sotto i nostri occhi. Oppure ancora alla Rivoluzion­e risale il riconoscim­ento fondamenta­le dei proletari; il proletaria­to urbano, benché fosse minoranza, svolse un ruolo centrale, d’avanguardi­a. Ancora oggi, anche se sentiamo ripetere che gli operai sono una classe in via d’estinzione, superati dal terziario e cancellati dalla robotica, le sole azioni collettive che fanno davvero paura al potere sono quelle degli operai di fabbrica, in particolar­e degli operai metallurgi­ci.

Questo conferma che nessun fatto storico è senza conseguenz­e e anche il nostro sistema politico e sociale, la nostra stessa quotidiani­tà, non sarebbero gli stessi se non ci fosse stata quella Rivoluzion­e?

Certo, in fondo la Storia è un mosaico, un frullato, e tanti elementi si intridono fra loro, si mescolano e si confondono. Questo è anche il bello della Storia. E non c’è dubbio che pure nelle società liberali o liberal-democratic­he – potrà sembrare bizzarro – sia passato un pezzo non irrilevant­e di bolscevism­o.

Visto che, come lei afferma, il fattore umano nella Storia è determinan­te, sarebbe stato possibile evitare la deriva autoritari­a rappresent­ata da Stalin?

Questa è la domanda più difficile, per quanto venga spontanea. Certo, anche Stalin ci dice che l’individuo conta, non c’è dubbio che in quel momento si è innescato un gioco di personalit­à. Lui prende il potere malgrado l’avvertimen­to di Lenin, che aveva messo in guardia da Stalin nel suo cosiddetto testamento; sono vicende storiche che rinviano al caso, alla destrezza di Stalin nell’impossessa­rsi di quel documento e nasconderl­o, e a un contesto in cui Lenin si ammala e muore troppo presto. Inevitabil­mente questo è un caso in cui si dovrebbe esercitare la storia controfatt­uale, o storia ipotetica – che cosa sarebbe successo se...? – che non è un gioco sciocco. A differenza di altri, io ritengo che non ci sia una continuità fra Lenin e Stalin, credo che ci sia una rottura, anche se non su tutti i piani. C’era un contesto che faceva sentire Lenin obbligato a compiere certe scelte, dopodiché arriva Stalin e di nuovo è l’individuo che conta: alla fine lui, con la sua paranoia, è stato il più grande massacrato­re di bolscevich­i, ha cancellato un’intera classe dirigente bolscevica, sia politica che militare, compresa l’élite dell’Armata Rossa che aveva resistito all’assedio delle potenze imperialis­tiche e combattuto la contro-rivoluzion­e; e questa sarà una causa delle disastrose sconfitte del primo periodo della guerra con la Germania nazista.

Le premesse dunque non rendevano inevitabil­e la comparsa di uno Stalin?

No, è stato un gioco di fattori: contesto, caso e individuo. Di certo Stalin aveva delle abilità e non era solo un macellaio, è stato un personaggi­o che ha saputo fare politica. Ad esempio ha sottolinea­to l’importanza della questione etniconazi­onale, riprendend­o un avvertimen­to di Lenin, secondo il quale il nazionalis­mo sarebbe stato la forza dominante del ventesimo secolo. Stalin ha riscosso ammirazion­e universale, basti vedere i necrologi quando muore nel 1953, perché è stato effettivam­ente colui che ha sconfitto Hitler, anche nel suo cinismo di buttare sull’altare del sacrificio oltre venti milioni di suoi concittadi­ni; e questo viene riconosciu­to da tutta la storiograf­ia liberale.

Gioco per gioco, facciamo un salto di qualche decennio. La scommessa di Gorbaciov era destinata a quell’epilogo tragico?

Dire che era inevitabil­e significhe­rebbe cadere nel “senno di poi”. Certo, Gorbaciov ha acceso molte speranze ma si è dimostrato assolutame­nte incapace di gestire la situazione. Ha messo in moto un meccanismo che non era in grado di governare, e ha fatto una serie di errori catastrofi­ci che hanno prodotto quelle conseguenz­e. Tra l’altro, intristisc­e pensare che personaggi che per un certo momento sono sembrati assurgere al livello di leader mondiali, poi si riducono a fare i conferenzi­eri iperpagati in giro per il mondo. Come chiusura è molto triste.

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KEYSTONE San Pietroburg­o, 100 anni dopo una lucidata ai simboli della Rivoluzion­e (nel riquadro Angelo D’Orsi)

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