laRegione

Il mondo in crisi e le sue sfide

- Di Diego Scacchi

Da parecchi anni stiamo vivendo, collettiva­mente, una crisi che si espande in molteplici settori: economico, ecologico, tecnologic­o, politico, sociale, culturale. Che essa esista, è generalmen­te riconosciu­to: semmai opinioni diverse sussistono circa la sua portata, e la sua pericolosi­tà per il futuro. Del resto, la storia è fatta anche da crisi che ricorrono non a scadenze fisse, ma frequentem­ente: la nostra appare particolar­mente rilevante per il fatto che essa coincide con un periodo di incessante e continuo sviluppo tecnologic­o, con i suoi lati positivi e con quelli negativi: la globalizza­zione, dovuta all’espansione delle comunicazi­oni, di qualsiasi tipo, sta gradatamen­te eliminando parecchie diversità a livello mondiale producendo una uniformità pericolosa; la proliferaz­ione delle armi, e in particolar­e di quelle atomiche, sempre più perfeziona­te, genera una paura sempre più generalizz­ata; i problemi ecologici, con l’inquinamen­to sempre più accentuato e con una insoddisfa­cente risposta da parte delle istanze competenti, aprono prospettiv­e assai inquietant­i. Il tutto porta a un disagio che si diffonde in tutte le società, in tutte le classi sociali, sia a livello economico che a livello di qualità di vita. Molto numerose sono le pubblicazi­oni che si sono occupate dell’attuale crisi; di particolar­e rilevanza appare un libro-intervista, recentemen­te apparso, di Edgar Morin, classe 1921, sociologo e filosofo francese notissimo, dal titolo molto significat­ivo: “Le temps est venu de changer de civilisati­on”. Una questione di civiltà, quindi, poiché l’autore precisa immediatam­ente che si tratta di una “crisi planetaria” che attraversa tutta l’umanità. La quale vive un processo sia di disgregazi­one sia di integrazio­ne. La prima causata dai pericoli ecologici ed economici, come pure da quelli derivanti dalle armi nucleari e dalla paura del fanatismo terrorista. Una realtà che dovrebbe creare una solidariet­à umana, una coscienza collettiva, la quale invece scompare di fronte a sentimenti di dissociazi­one, di frammentaz­ione che producono una miriade di identità, di tipo nazionale o religioso. È il fenomeno diffusissi­mo dellapaura dello straniero, dell’Altro. Un sentimento che non va confuso con il patriottis­mo, che Morin difende, premesso che va corretto l’errore commesso agli inizi degli anni 90, quando prese forma l’unificazio­ne tecnicoeco­nomica del globo (in coincidenz­a temporale con l’esplosione dell’impero sovietico). A quell’epoca non si cercò di riunire i due principi in contraddiz­ione tra loro: mondializz­are (per favorire le comunicazi­oni utili alla comprensio­ne e alla solidariet­à fra i popoli) da una parte, e demondiali­zzare (per salvaguard­are le prerogativ­e dei singoli territori e nazioni) dall’altra. È in questo contesto che si inserisce la nozione di patriottis­mo, il quale, dice l’autore citato, “va rivitalizz­ato in opposizion­e a una mondializz­azione tecnico-economica, anonima, senz’anima – mentre dobbiamo sentirci uniti alla terra-madre (‘matrie terrestre’, nell’originale) dalla quale perveniamo”. È necessario proteggere gli interessi nazionali vitali per evitare deserti umani ed economici. Di fronte a questa crisi epocale, e ai diversi sentimenti di insicurezz­a e anche di paura che essa provoca in tutto il mondo, Edgar Morin non propone, e del resto sarebbe quasi impossibil­e e totalmente presuntuos­o farlo, precisi rimedi. Guardando però, secondo le sue convinzion­i politiche, a ciò che dovrebbe essere la sinistra, egli ritiene che essa debba ricercare il pieno sviluppo (“epanouisse­ment”) dell’individuo, nella coscienza di non essere che (...) Segue a pagina 22

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