A Budapest l’inizio di una nuova era
Il 2-1 firmato da Lafferty ha cambiato la mentalità della Nazionale
Nel nuovo Windsor Park, dove spiccano i colori biancoblù del Linfield e verde della Nazionale, c’è spazio pure per il bianconero: quello delle fotografie. Una ritrae lo storico gol di Gerry Armstrong nella vittoria dell’Irlanda del Nord ai Mondiali del 1982 contro i padroni di casa della Spagna, un’altra immortala Kyle Lafferty nell’atto di segnare nel marzo 2015 contro la Finlandia. Ma non è stata quella, tra le 19 reti messe a segno in 62 caps, la più importante dell’ex giocatore del Sion. Nel settembre 2014, all’esordio nella campagna per Euro 2016, un’Irlanda del Nord reduce da una vittoria nelle ultime 22 partite si impose 2-1 in Ungheria grazie alle reti di McGinn all’82’ (assist di Lafferty) e di Lafferty all’86’ (assist di McGinn). Quella fu la vittoria che cambiò la Nazionale dell’Ulster e che l’ha condotta in quattro anni a una fase finale dell’Europeo e a uno spareggio mondiale contro la Svizzera Determinante, nell’evoluzione della carriera internazionale di Lafferty, è stato Michael O’Neill, il c.t. cattolico dell’Irlanda del Nord. Il quale gli ha dato fiducia nonostante una disciplina da lui stesso definita “orrenda”... «Gli avevo fatto notare come fosse stato sostituito nel 65% delle partite di club. Forse si sarebbe dovuto chiedere come mai», aveva ricordato lo scorso anno il 48enne tecnico. La cura O’Neill è servita: nelle qualificazioni ai Mondiali 2014 Lafferty aveva messo assieme più espulsioni (una) di reti: in quelle per Euro 2016 era andato in gol sette volte in nove partite con appena due gialli, mentre nell’ultima campagna mondiale ha ottenuto tre reti e nessuna ammonizione. Può darsi che Michael O’Neill abbia problemi nel condurre una macchina, soprattutto dopo che due settimane fa la patente gli è stata ritirata per 16 mesi per guida in stato di ebbrezza, ma ha dimostrato di sapere come guidare una squadra. Lui che nel 1982 aveva 12 anni e si era goduto alla televisione il gol di Armstrong, in un’Irlanda del Nord dilaniata dai Troubles che causavano in media un morto ogni tre giorni... «Me la ricordo benissimo: il gol di Gerry, l’espulsione di Donaghy e le parate di Big Pat Jennings. Il nome nuovo di quella squadra era Norman Whiteside e aveva appena quattro anni più di me. Era lui l’idolo di tutti i dodicenni nordirlandesi». E quando nel 2011 è arrivato sulla panchina della Nazionale ha subito messo in chiaro le cose: con un regolamento Fifa che permette a qualsiasi calciatore nato in Irlanda del Nord di andare a giocare con la maglia dell’Eire, le selezioni non sarebbero più state fatte secondo criteri politico-religiosi, bensì unicamente per merito calcistico. Una strategia che ha dato i suoi frutti e che ha fatto della Nazionale nordirlandese una sorta di “mixed zone”. SEBA