Settore bellico in crisi, o forse no
Le esportazioni di armi continuano a diminuire, quelle dei ‘beni militari speciali’ invece aumentano
La lobby degli armamenti chiede di allentare i vincoli posti dalla legge. Per far fronte a una situazione definita ‘precaria’. Ma è davvero così?
Esportare armi anche nei Paesi dove è in corso “un conflitto armato interno”. È quanto chiedono 13 aziende dell’industria bellica in una lettera spedita la scorsa settimana ai membri della Commissione di politica di sicurezza del Consiglio degli Stati (Cps-S). La legge attualmente lo vieta. Ma la situazione economica “precaria” nella quale si troverebbe il settore giustificherebbe un allentamento delle disposizioni, sostiene la lobby degli armamenti. Una situazione “precaria”? A prima vista sembrerebbe di sì. I dati della Segreteria di Stato dell’economia (Seco) indicano che dal 2011 al 2016 le esportazioni di materiale bellico si sono più che dimezzate. Lo scorso anno ammontavano a ‘soli’ 412 milioni di franchi. Questa somma non tiene però conto dei cosiddetti ‘beni militari speciali’, le cui esportazioni sono sensibilmente aumentate negli ultimi anni: dai 405 milioni del 2013, sono raddoppiate nel 2014, raggiungendo poi la cifra di 1,165 miliardi nel 2015. Lo scorso anno l’export di ‘beni militari speciali’ ha fatto segnare un calo a 693 milioni. Ma si tratta pur sempre di quasi 300 milioni in più rispetto all’export di materiale bellico. A differenza di quest’ultimo, i ‘beni militari speciali’ non sono armi, munizioni o esplosivi, ma, secondo la legge, sono comunque “concepiti o modificati a fini militari”. Si tratta per esempio di droni, aerei da esercitazione, simulatori o visori notturni. Si tratta quindi di materiale bellico non in senso stretto (come lo sono invece ad esempio le granate a mano della Ruag, i ‘Piranha’ della Mowag o i sistemi di contraerea delle Rheinmetall), ma pur sempre usato per scopi militari. È dunque facile accostare le esportazioni di questi beni alle aziende che producono le armi vere e proprie, le stesse che – come hanno rivelato sabato ‘Tages-Anzeiger’ e ‘Der Bund’ – hanno chiesto alla Cps-S minori restrizioni per le esportazioni dei loro prodotti. L’industria bellica elvetica – preoccupata anche per il calo delle commesse garantite da un esercito svizzero sempre più ‘snello’ – sostiene di essere svantaggiata nei confronti delle aziende dell’Unione europea (Ue), per le quali le autorizzazioni sarebbero più facili da ottenere: armi verrebbero esportate dall’Ue per esempio in Qatar, Giordania e Pakistan. Cosa oggi non possibile in Svizzera: l’esportazione di materiale bellico in Paesi nei quali è in corso una guerra civile è infatti vietata dalla legislazione elvetica. La richiesta della lobby degli armamenti sarà discussa venerdì dalla commissione degli Stati con i rappresentanti delle aziende coinvolte, ha indicato il suo presidente Isidor Baumann (Ppd/Uri). Se la Cps-S riterrà che il settore è veramente in crisi, allora potrebbe fare pressione sul Consiglio federale (competente per l’ordinanza concernente il materiale bellico) con una mozione. La questione dell’export di armi farà in ogni caso ancora discutere in Parlamento. La consigliera nazionale Priska Seiler Graf (Ps/Zurigo) ha depositato lo scorso marzo una mozione con lo scopo di includere i beni militari speciali, oggi controllati tramite l’ordinanza sul controllo dei beni a duplice impiego, nella legge sul materiale bellico (Lmb). I beni a duplice impiego (detti anche ‘dual-use’) sono per esempio macchinari, materiali o prodotti chimici che possono essere usati sia a livello civile che in campo militare. Secondo la consigliera nazionale zurighese, però, essendo i beni militari speciali utilizzabili solo a scopo militare, dovrebbero sottostare alla Lmb. Il Consiglio federale non la pensa così. Nella sua risposta alla mozione, che raccomanda al Parlamento di respingere, il governo fa un distinguo tra le statistiche della Seco (quella riguardante l’export di materiale bellico dà conto delle esportazioni effettive; quella sui beni militari speciali indica invece il valore della merce autorizzata all’esportazione), invitando a non paragonarle. Inoltre, contrariamente a quanto afferma Seiler Graf, anche le attrezzature, le componenti e gli assemblaggi sottostanno alla Lmb e non all’ordinanza sul controllo dei beni a duplice impiego.