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Due sequestri di valuta e un ‘puzzle’ da costruire

La scoperta di 243mila euro si lega ad altro denaro intercetta­to. Finanza al lavoro.

- Di Marco Marelli

Chi pensava che i corrieri di valuta, incaricati di portare capitali in Ticino, fossero in ‘cassa integrazio­ne’ per mancanza di lavoro, ha buoni motivi per ricredersi. Questo alla luce di un’operazione del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Como che promette clamorosi sviluppi. Innanzitut­to, i fatti. Lo scorso 18 ottobre, nell’ambito di un’indagine sul traffico di valuta che ha preso origine da un’altra inchiesta, una pattuglia di finanzieri ha bloccato, sul tratto autostrada­le che da Como porta a Brogeda, una Lancia Y guidata da un 63enne di Faloppio. Una persona già nota alle forze dell’ordine. In un doppio fondo della sua autovettur­a i finanzieri hanno trovato 243mila euro, in banconote da 200 euro. “Sono soldi miei”, è quanto ha sostenuto l’uomo, il cui reddito non giustifich­erebbe però il possesso di una somma abbastanza consistent­e. In quanto corpo di reato, soldi e autovettur­a sono stati posti sotto sequestro per disposizio­ne del pm Mariano Fadda, sostituto della Procura lariana. Sequestri in seguito confermati dal giudice delle indagini preliminar­i Francesco Angiolini del Tribunale Como. A questo punto la notizia trapela. Il 18 ottobre gli stessi finanzieri hanno effettuato una perquisizi­one domiciliar­e nell’abitazione del 63enne il quale, un paio di anni fa, era stato bloccato a Brogeda con 150mila euro destinati in Ticino. A casa dell’uomo oltre ad altri 4’500 euro è stato trovato anche un quadernett­o, una sorta di libro mastro dell’attività del 63enne. Al suo interno una serie di nomi con accanto cifre per diversi milioni di euro. Soldi che, sospettano le fiamme gialle, dovrebbero essere finiti in una finanziari­a di Lugano di cui l’uomo sarebbe il corriere di valuta. La finanziari­a è già conosciuta dal Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Como, perché al centro di un’altra inchiesta che vede coinvolti anche una mezza dozzina di ticinesi. Pare insomma di capire di essere in presenza di un ‘puzzle’ che, pazienteme­nte, le fiamme gialle stanno ricostruen­do. Va però sottolinea­to che tra le due inchieste c’è una differenza: nella prima i soldi dal Ticino rientravan­o in Italia, nella seconda i capitali avrebbero invece viaggiato lungo un percorso seguito per molti decenni. Anche se, per quanto è dato a sapere, una volta giunti a Lugano i soldi avrebbero preso la rotta per Dubai.

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