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Rieccolo, Vitaly è tornato

Dopo il fallimento del Martigny, l’ex attaccante dell’Ambrì è a Bellinzona per voltare pagina. ‘Ora ho bisogno di stabilità’.

- Di Christian Solari

Di nuovo in Ticino. Per rifarsi una vita. Dopo il naufragio del progetto Red Ice che l’ha lasciato improvvisa­mente a piedi a fine giugno. «Con un contratto ancora valido sino a fine stagione», ricorda Vitaly Lakhmatov. Che, quattro anni dopo l’ultima parentesi a Sud delle Alpi, quando se ne andò dalla Valascia per trasferirs­i al Forum d’Octodure, decide di tornare a casa. Quella, per meglio dire, che era diventata la sua seconda casa quand’era arrivato in Ticino dall’Ucraina. «Allora avevo soli tredici anni e giocavo per divertirmi. Non pensavo certo a cosa avrei fatto da grande», dice il trentaseie­nne nato a Kiev. Adesso, ventitré anni dopo, Vitaly torna nuovamente a giocare per divertirsi. In Prima Lega, con la maglia dei Gdt Bellinzona. «Certo, è un cambiament­o non di poco conto – racconta l’attaccante, che in 17 anni di carriera tra i profession­isti ha totalizzat­o novecento partite tra Lega nazionale A (ad Ambrì, ma pure a Langnau, Zurigo e Friborgo) e B. –. Ma non ho più vent’anni e devo riflettere su cosa fare dopo».

Già 4 punti in 3 partite con i Gdt. ‘All’inizio ho faticato. Poi mi son detto: non ti sei allenato per un mese, cosa pretendi?’.

Al termine di un’estate senz’altro complicata. «La verità è che a Martigny non ci aspettavam­o che andasse a finire in quel modo. Ovviamente ne avevo parlato con i dirigenti, ma loro continuava­no a dire di aspettare. Finché è successo quel che è successo». Eppure sui giornali si parlava da mesi di possibili difficoltà finanziari­e. «È vero, ma non era la pri-

ma volta che accadeva. Quindi noi siamo andati avanti concentran­doci sul nostro lavoro, immaginand­o che fosse un’altra sparata di qualche vallesano...». Invece è arrivato il fallimento. A quel punto ti sarai trovato di fronte a un bivio. «Se devo essere sincero ho preferito attendere per vedere cosa succedeva. Un paio di offerte dall’estero sono pure arrivate, ma...». Dalla Russia? «No, no. Una dall’Inghilterr­a, ed era pure una proposta interessan­te. Un’altra, invece, dalla Francia. Ma mi sono detto:‘Cosa vado a fare lì, magari solo per quattro o cinque mesi?’. Fossi stato più giovane, quell’esperienza l’avrei fatta, ma ora come ora ho piuttosto bisogno di

stabilità». Infatti l’età avanza... «Già. Anche se mi piacerebbe continuare a giocare per altri due, tre anni. Ed è vero che nel frattempo un po’ avrò perso, siccome in mezzo a tutta quell’incertezza che regnava nel dopo Martigny ho finito per star fermo un mesetto buono. Tuttavia, per quanto potevo, mi sono anche allenato, sia ‘off-ice’, sia sul ghiaccio». Prima, appunto, di posare gli arnesi al Centro sportivo di Bellinzona. «E devo dire di essermi trovato subito bene – aggiunge con voce entusiasta –, anche perché alcuni ragazzi già li conoscevo». Sarai una specie di star... «Io? Macché. Tra di noi c’è un rapporto normale. Poi, è vero, magari immagini che i più giovani ti guardino in un modo un po’ strano... Ma non sai a cosa pensano – ride –, non puoi mica entrare nelle loro teste». E il livello? Ti aspettavi qualcosa del genere? «In verità non mi aspettavo proprio nulla... E ammetto che la prima partita è stata piuttosto difficile, infatti sentivo di non essere al top fisicament­e. Quindi direi che prima di dire la mia aspetto di tornare in forma sul serio. Anche perché quando fai fatica tutto ti sembra più difficile, e cominci a porti delle domande tipo: ‘Ma sarò ancora in grado di giocare a hockey?’. A quel punto, però, ragioni e ti dici che per un mese intero nel corso dell’estate non ti sei allenato. Quindi, cosa vuoi pretendere?». Intanto, però, nei Gdt sei subito finito in prima linea, e in tre partite hai già totalizzat­o due gol e due assist... «Io spero sinceramen­te di riuscire a dare una mano. E non solo sul ghiaccio, ma anche nello spogliatoi­o». Parli? «Se parlo? Mah, sì... Diciamo che do qualche consiglio. Ai più giovani, almeno. Senza, però, alzare la voce: il mio obiettivo è solo far sì che possano imparare qualcosa dalla mia esperienza. Con l’obiettivo di fare le cose con maggior semplicità». Ti vedresti nei panni di un allenatore? «Sì – risponde convinto –. Direi di sì: è proprio ciò a cui ambisco, pensando al mio futuro. Infatti l’hockey è la mia passione, e gli ho dedicato tutta la vita».

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TI-PRESS/REGUZZI Inseguito da Philippe Rytz in un Ambrì-Langnau di quattro anni fa

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