Rieccolo, Vitaly è tornato
Dopo il fallimento del Martigny, l’ex attaccante dell’Ambrì è a Bellinzona per voltare pagina. ‘Ora ho bisogno di stabilità’.
Di nuovo in Ticino. Per rifarsi una vita. Dopo il naufragio del progetto Red Ice che l’ha lasciato improvvisamente a piedi a fine giugno. «Con un contratto ancora valido sino a fine stagione», ricorda Vitaly Lakhmatov. Che, quattro anni dopo l’ultima parentesi a Sud delle Alpi, quando se ne andò dalla Valascia per trasferirsi al Forum d’Octodure, decide di tornare a casa. Quella, per meglio dire, che era diventata la sua seconda casa quand’era arrivato in Ticino dall’Ucraina. «Allora avevo soli tredici anni e giocavo per divertirmi. Non pensavo certo a cosa avrei fatto da grande», dice il trentaseienne nato a Kiev. Adesso, ventitré anni dopo, Vitaly torna nuovamente a giocare per divertirsi. In Prima Lega, con la maglia dei Gdt Bellinzona. «Certo, è un cambiamento non di poco conto – racconta l’attaccante, che in 17 anni di carriera tra i professionisti ha totalizzato novecento partite tra Lega nazionale A (ad Ambrì, ma pure a Langnau, Zurigo e Friborgo) e B. –. Ma non ho più vent’anni e devo riflettere su cosa fare dopo».
Già 4 punti in 3 partite con i Gdt. ‘All’inizio ho faticato. Poi mi son detto: non ti sei allenato per un mese, cosa pretendi?’.
Al termine di un’estate senz’altro complicata. «La verità è che a Martigny non ci aspettavamo che andasse a finire in quel modo. Ovviamente ne avevo parlato con i dirigenti, ma loro continuavano a dire di aspettare. Finché è successo quel che è successo». Eppure sui giornali si parlava da mesi di possibili difficoltà finanziarie. «È vero, ma non era la pri-
ma volta che accadeva. Quindi noi siamo andati avanti concentrandoci sul nostro lavoro, immaginando che fosse un’altra sparata di qualche vallesano...». Invece è arrivato il fallimento. A quel punto ti sarai trovato di fronte a un bivio. «Se devo essere sincero ho preferito attendere per vedere cosa succedeva. Un paio di offerte dall’estero sono pure arrivate, ma...». Dalla Russia? «No, no. Una dall’Inghilterra, ed era pure una proposta interessante. Un’altra, invece, dalla Francia. Ma mi sono detto:‘Cosa vado a fare lì, magari solo per quattro o cinque mesi?’. Fossi stato più giovane, quell’esperienza l’avrei fatta, ma ora come ora ho piuttosto bisogno di
stabilità». Infatti l’età avanza... «Già. Anche se mi piacerebbe continuare a giocare per altri due, tre anni. Ed è vero che nel frattempo un po’ avrò perso, siccome in mezzo a tutta quell’incertezza che regnava nel dopo Martigny ho finito per star fermo un mesetto buono. Tuttavia, per quanto potevo, mi sono anche allenato, sia ‘off-ice’, sia sul ghiaccio». Prima, appunto, di posare gli arnesi al Centro sportivo di Bellinzona. «E devo dire di essermi trovato subito bene – aggiunge con voce entusiasta –, anche perché alcuni ragazzi già li conoscevo». Sarai una specie di star... «Io? Macché. Tra di noi c’è un rapporto normale. Poi, è vero, magari immagini che i più giovani ti guardino in un modo un po’ strano... Ma non sai a cosa pensano – ride –, non puoi mica entrare nelle loro teste». E il livello? Ti aspettavi qualcosa del genere? «In verità non mi aspettavo proprio nulla... E ammetto che la prima partita è stata piuttosto difficile, infatti sentivo di non essere al top fisicamente. Quindi direi che prima di dire la mia aspetto di tornare in forma sul serio. Anche perché quando fai fatica tutto ti sembra più difficile, e cominci a porti delle domande tipo: ‘Ma sarò ancora in grado di giocare a hockey?’. A quel punto, però, ragioni e ti dici che per un mese intero nel corso dell’estate non ti sei allenato. Quindi, cosa vuoi pretendere?». Intanto, però, nei Gdt sei subito finito in prima linea, e in tre partite hai già totalizzato due gol e due assist... «Io spero sinceramente di riuscire a dare una mano. E non solo sul ghiaccio, ma anche nello spogliatoio». Parli? «Se parlo? Mah, sì... Diciamo che do qualche consiglio. Ai più giovani, almeno. Senza, però, alzare la voce: il mio obiettivo è solo far sì che possano imparare qualcosa dalla mia esperienza. Con l’obiettivo di fare le cose con maggior semplicità». Ti vedresti nei panni di un allenatore? «Sì – risponde convinto –. Direi di sì: è proprio ciò a cui ambisco, pensando al mio futuro. Infatti l’hockey è la mia passione, e gli ho dedicato tutta la vita».