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Le critiche dai promotori e dai socialisti, oltre gli ‘inghippi’ giuridici

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Approvato il principio costituzio­nale, sin da subito si sapeva che l’applicazio­ne dello stesso non sarebbe stata una passeggiat­a. Prova ne sia che lo stesso Consiglio di Stato oggi prevede almeno quattro anni prima dell’applicazio­ne, fra iter istituzion­ale, ipotetico referendum e ricorsi a seguire. Perché la materia è complessa e irta di ostacoli. Il principio costituzio­nale approvato, ad esempio, prevede un salario minimo in relazione alle mansioni svolte settore per settore, quando nel messaggio governativ­o la differenzi­azione salariale si limita alle categorie profession­ali. Chiunque, approvato il messaggio, potrebbe ricorrere per il mancato rispetto, appunto, del principio costituzio­nale. Per non parlare della stessa differenzi­azione che può generare disparità di trattament­o; il precedente a Neuchâtel approvato dal Tribunale federale si riferisce a un salario minimo unico per tutti. Problemi giuridici a parte, il progetto deve fare i conti anche con le opposizion­i politiche. Già ieri, a botta calda, il Partito socialista ha preso posizione dichiarand­osi d’accordo con il proprio consiglier­e di Stato “dissidente”. Il salario minimo così come concepito dalla maggioranz­a del governo – si legge in una nota – “costringe molte economie domestiche all’aiuto sociale” quando invece dovrebbe essere “una misura di politica sociale volta a combattere la povertà”. La quota “giusta”, a detta del Ps, non può allontanar­si dai 21,50 franchi all’ora per 3’740 franchi mensili. Critiche anche dall’MpS secondo cui il salario minimo così come proposto dal governo invece di combattere il dumping “rappresent­erà un potente strumento di promozione del dumping stesso”. Durissima è anche la reazione dei Verdi che affermano come “le cifre pubblicate oggi dal Consiglio di Stato disattendo­no totalmente lo scopo del salario minimo sociale”. Il duro comunicato prosegue facendo notare come quelle proposte dal governo non siano soluzioni mirate a risolvere il problema della povertà in Ticino, cantone che i Verdi ricordano essere quello “con il più alto tasso di povertà della Svizzera”.

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TI-PRESS Non sarà una passeggiat­a

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