Don Milani, sul serio
Federico Ruozzi spiega la complessa, e spesso mitizzata, figura del prete di Barbiana
Invitato dalla Biblioteca cantonale di Lugano per presentare il Meridiano, da lui curato, dedicato a don Milani, Ruozzi ha fornito un ritratto del prete al di là degli slogan.
Pacifista, prete scomodo e contro il sistema, padre dell’antipedagogia, critico della scuola borghese, difensore del popolo… sono alcuni dei modi in cui, negli anni, è stata narrata la figura di don Lorenzo Milani, il prete di Barbiana e di ‘Lettera a una professoressa’ spesso riassunto in slogan – magari neanche suoi, come il “a che serve avere le mani pulite se le tieni in tasca” che Roberto Saviano, e molti altri, attribuirono erroneamente a don Milani ma in realtà di Primo Mazzolari – che banalizzano se non stravolgono questa complessa figura. Una mitologia ingombrante che martedì sera alla Biblioteca cantonale di Lugano si è cercato di disinnescare nell’incontro intitolato “Don Milani, oltre il brand”. «Titolo secondo me azzeccato: Lorenzo Milani è davvero diventato un brand, nascondendo la radicalità e la profondità della sua vita e della sua opera» ha spiegato l’ospite principale dell’evento, Federico Ruozzi, ricercatore alla Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII e curatore del volume che i Meridiani Mondadori hanno dedicato a don Milani. Proprio da quel libro è partito Ruozzi per raccontare il “vero” don Milani: «L’idea di fondo che ha portato al Meridiano è stata quella di dare la possibilità di leggere don Lorenzo Milani, citato spesso ma letto poco». Ecco quindi raccolti «tutti i suoi testi, da quelli più celebri, come ‘Esperienze pastorali’ e ‘Lettera a una professoressa’, a quelli meno conosciuti, tra cui articoli, conversazioni e lezioni che abbiamo sbobinato, e le lettere». Testi in molti casi già pubblicati «ma in maniera incompleta, tagliati o censurati perché la scrittura di don Milani è come lui: una scrittura radicale che molti hanno pensato di edulcorare».
‘Sono un lurido sboccato’
E a conferma di questa prosa spaesante, soprattutto se pensiamo che proviene da un uomo di chiesa, Ruozzi ha citato un passaggio da una lettera di don Milani a Cesare Locatelli: “Lo so che sono sempre stato un lurido sboccato. Farò di tutto per smettere. Se ancora non ci son riuscito è perché non gli ho mai dato tanta importanza. Che vuoi, quando la lotta è per stare in grazia che vuoi che importi quel che pensano gli altri? Se sono in grazia non faccio male a nessuno neanche se m’esprimo a parolacce. E se non sono in grazia faccio sempre male a tutti anche se parlo tutto di Gesù e Maria”. Qual è dunque il ‘vero’ don Milani che emerge dai suoi testi? Innanzitutto, quello di una persona che, provenendo
da una agiata (e agnostica) famiglia, ha saputo compiere la scelta radicale di abbracciare la fede e farsi prete, mantenendo comunque quelle relazioni sociali che poi gli permetteranno di fare quello che ha fatto. Soprattutto, quello che emerge è un don Milani uomo di fede che – alla faccia del ‘mito’ della disobbedienza – ha sempre ubbidito alla Chiesa, anche quando questa Chiesa lo ha punito mandandolo nella piccola e sperduta Barbiana. Dove ha sperimentato l’ingiustizia sociale della povertà, da lui denunciata «non perché danneggia i poveri, ma perché offende Dio: la scuola diventa un ottavo sacramento, una necessità del suo ministero sacerdotale» ha sottolineato Ruozzi. Insomma, don Milani si rende conto che affinché i suoi parrocchiani possano intendere la Parola, quella del Signore con la maiuscola, occorre prima che capiscano la parola con la minuscola, insomma che imparino l’italiano.