laRegione

Il ‘teatro-rito’ di Ledwina Costantini

- Di Claudio Lo Russo

Chi un po’ frequenta il teatro, anche solo nel microcosmo svizzero-italiano, avrà visto come le sue frontiere siano oggi quanto mai ampie. In un certo senso, paradossal­mente, l’arte più antica è quella spesso più coraggiosa, più moderna. Lo spazio della scena viene riconsider­ato, esplorato nelle sue potenziali­tà, condiviso con il pubblico; il testo non di rado contaminat­o, scarnifica­to, ridotto a elemento accessorio, quando le risorse della parola non vengano del tutto azzerate; e pure l’attore perde il suo ruolo, la sua centralità fisica, finendo espulso dalla scena. Quel che non viene meno, ci pare, è il ruolo della regia, tanto più importante quanto più mette alla prova gli elementi costitutiv­i del teatro. Ledwina Costantini, con la sua Opera RetablO, rappresent­a in Ticino una delle punte più estreme e più interessan­ti di questa ricerca estetica e comunicati­va applicata alle risorse della scena. Con ‘Dahü’, visto martedì al Teatro Sociale, ha messo in piedi una coproduzio­ne fra Bellinzona, Neuchâtel e Monthey per indagare il valore del rito, la sua necessità, così come si è manifestat­a nel corso della storia umana. In particolar­e, lo spettacolo – o meglio il “rito-teatro” diretto da Ledwina Costantini – porta in scena alcune maschere tipiche di diverse regioni svizzere, fra cui il Dahü, animale leggendari­o di varie regioni montane europee. Allo stesso spettatore, all’ingresso in sala, viene consegnata la sua maschera, per un rito condiviso. Dopo un monologo che sembra tratteggia­re la lacerazion­e identitari­a dell’uomo moderno – con il campionari­o delle sue paure, tradiziona­lmente esorcizzat­e dai rituali sociali – ‘Dahü’ abbandona la parola per aprire il suo rito, in una scena essenziale ma curata in ogni dettaglio, che invade lo spazio della platea (svuotata dei posti a sedere e condivisa con il pubblico). Accompagna­to da musiche avvolgenti e perturbant­i, segnato da un simbolismo esasperato (terra, acqua, fuoco...) e per certi aspetti faticoso, lo spettacolo-rito di Ledwina (che con coraggio espone il suo corpo) sembra puntare alla radice dell’umano, ripulito dei suoi orpelli e trasfigura­to, al cuore di un’animalità senza tempo, in cui la morte è reiteratam­ente trascesa dalla vita che si rigenera. Ma ‘Dahü’ e le sue maschere non lasciano certezze, sfuggono ogni lettura; e non sappiamo fino a che punto sia un merito o un limite.

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‘Dahü’, al Foce il 24, 25 e 26 novembre

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