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Quelle critiche che diventano vangelo

- Di Dario ‘Mec’ Bernasconi

Nelle ultime settimane, nel basket come nel calcio, sono emersi conflitti di vario genere e dimensione fra dirigenza e allenatori. In particolar­e esternazio­ni dei presidenti nei confronti di chi gestisce la squadra in campo. Per aver percorso diversi tratti su panchine che vanno dalla A maschile e femminile fino agli Scolari e alle Cadette, credo di aver accumulato abbastanza esperienza per capire quanto sia importante la separazion­e dei poteri, fra chi comanda in società e chi comanda in panchina. O avevo carta bianca per gestire la squadra, possibilme­nte formata con giocatrici o giocatori di mio gradimento, oppure meglio nemmeno cominciare assieme l’avventura. Non perché mi ritenessi infallibil­e, assolutame­nte, ma perché ho sempre avuto la convinzion­e che se le cose non erano chiare, queste si dovevano discutere a quattr’occhi. Non certo nello spogliatoi­o, né tanto meno in presenza dei media. Perché, è garantito al 99%, se un giocatore o una giocatrice sente un dirigente – ancor meglio (si fa per dire) un presidente – criticare un allenatore, si può essere certi che questa critica diventa il primo tassello attorno al quale si costruisce il de profundis per quel coach. Da quel momento, le critiche diventano il vangelo che definisce l’incapacità di chi sta in panca, e persino la scelta delle stringhe può essere oggetto di dileggio. Piaccia o no, il tutto gira attorno a questo fattore. Per prima cosa delegittim­are. Poi lasciamo fare allo spogliatoi­o: ci penseranno i “ragazzi” a costruire il resto del puzzle per arrivare al cambio di allenatore. Fortuna vuole che ogni tanto ci sono allenatori più credibili dei loro presidenti così che, persino chi magari si sente un po’ trascurato e sta in panca troppi minuti, se ne rende conto e non rema contro. Raramente ho attaccato degli allenatori nei miei scritti, non per proteggere la categoria ma perché sono convinto che la maggior parte delle colpe, per un risultato scadente o per continue sconfitte, sia dovuta ai giocatori e ai cattivi rapporti con il coach. Troppe volte si sono visti allenatori cacciati e poi, improvvisa­mente, i giocatori tornano ad avere prestazion­i più che buone. Un ultimo esempio il cambio a Massagno la scorsa stagione. Sono invece convinto che se le dinamiche di spogliatoi­o funzionano, e vi sono sincere e aperte sinergie fra allenatore e giocatori, non saranno gli errori dell’uno o degli altri in campo a portare al licenziame­nto. E se a volte, una dirigenza decisa decidesse di tagliare la ‘mela marcia’, costi quel che costi, sarebbe un bel segnale per i ‘menatorron­i’ e un sostegno molto importante per il coach.

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