Quel dosaggio fatale
Il (farmaco) ‘killer’ lo si conosce. Restano da chiarire le circostanze della morte del paziente Osc Davanti alla Pretura penale da ieri i quattro psichiatri chiamati a rispondere di negligenza. Accusa contestata: ‘La terapia era consolidata’.
Era un paziente difficile. Anche perché la sua patologia psichiatrica era assai grave, a tal punto da renderlo pericoloso per sé e per gli altri (almeno in taluni momenti). Un caso simile a quello del 28enne, morto nel maggio del 2014 per gli effetti dei troppi psicofarmaci, del resto, non era mai capitato alla Clinica psichiatrica cantonale di Mendrisio. Non a memoria di chi vi ha lavorato per anni. Una storia passata sotto silenzio, quella del giovane, figlio adottivo di una famiglia del Sopraceneri, ma che urla tutto il dolore e la sofferenza che la malattia psichiatrica può cagionare, a chi ne soffre e ai suoi congiunti. Per loro quel vissuto era la quotidianità. Agli occhi degli altri – l’opinione pubblica –, invece, a farlo uscire dall’ombra sono state proprio le circostanze della morte. Che, ieri, hanno fatto approdare caso e storia in un’aula della Pretura penale, davanti al giudice Siro Quadri. Ma soprattutto a rispondere per quell’epilogo tragico sono stati chiamati quattro medici dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale. Se ora, però, si può dare un nome al farmaco ‘killer’, restano ancora da definire le singole responsabilità dei sanitari. In particolare dopo il colpo di scena riservato, ieri, dalle difese, che hanno ribaltato la prospettiva, insinuando il dubbio e avanzando l’ipotesi che sia stato «qualcos’altro arrivato al paziente e non somministrato» dal personale a portarlo al decesso. Una lunga quanto intensa giornata dibattimentale non è riuscita, quindi, ancora a sciogliere l’interrogativo principe. Chi ha cagionato la morte del giovane paziente, dal 2001 ricoverato più volte? È stata la negligenza dei quattro psichiatri, due capiservizio (uno dei quali, nel frattempo, pensionato) e altrettanti assistenti, una 43enne e un 33enne, entrambi cittadini italiani con contratto a termine (e da metà 2016 circa non più alle dipendenze dell’Osc)? Il procuratore pubblico Zaccaria Akbas non ha dubbi: i quattro psichiatri hanno violato le regole dell’arte medica, somministrando progressivamente e in contemporanea una serie di farmaci – dai neu-
rolettici alle benzodiazepine, passando per uno stabilizzatore dell’umore –, che ha prodotto delle “interazioni farmacologiche” e provocato complicazioni tali da rivelarsi fatali. Tutto nell’arco di sei giorni, dall’1 al 7 maggio 2014, periodo durante il quale si era dovuti ricorrere alla contenzione fisica del giovane a letto. E questo a fronte di episodi di aggressività che avevano costretto, hanno ripercorso gli psichiatri, persino a chiamare la polizia.
Il colpo di scena delle difese
Contestazioni, quelle del pp, rigettate, in primis, dagli stessi imputati, che hanno impugnato, di fatto, il decreto che li condanna alla pena pecuniaria di 90 aliquote (36mila franchi in totale), sospese. Sin dalle prime battute dell’istruttoria, d’altro canto, i quattro difensori – gli avvocati Luca Marcellini, Roberto Macconi, Luigi Mattei e Goran Mazzucchelli – hanno iniziato a smontare, pezzo per pezzo, il costrutto accusatorio. Lo hanno fatto contestando, da subito, la perizia ordinata dalla Procura, e mettendo in discussione, poi, il decreto. Nodo gordiano, per i legali, rimangono i quantitativi dei farmaci, prescritti e assunti dal 28enne nei suoi ultimi sei giorni in reparto. A suffragare la tesi delle difese le discrepanze – «un baratro» – fra le evidenze dell’esame tossicologico, condotto due giorni dopo la morte, e i dosaggi applicati, in particolare di uno psicofarmaco di cui sono state trovate tracce importanti (si parla di oltre 3mila milligrammi, oltre ad altre sostanze estranee alla terapia) nel sangue del paziente. Secondo gli avvocati, insomma, il giovane avrebbe potuto procurarsi e assumere da solo quel farmaco – preso, in precedenza, anche a domicilio –, ad esempio nei momenti in cui veniva accompagnato al bagno. Uno scenario che ha fatto letteralmente sobbalzare sulla sedia i genitori del 28enne, sino a quel punto presenza silenziosa in aula, visibilmente provati dalla ricostruzione dei fatti. Questa mattina si riprende con la requisitoria del procuratore pubblico Akbas e le arringhe dei quattro difensori.