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‘Dopo 50 anni ancora attuale’

Mario Botta al Convento del Bigorio nel ricordo del suo primo lavoro da studente di architettu­ra

- Di Cristina Ferrari

«Un dialogo serrato e continuo fra il nuovo e l’antico». È questa la sintesi che Mario Botta fa della sua prima ‘creatura’, quando ancora studente di architettu­ra a Venezia ideò, su stimolo di Tita Carloni (nel cui studio svolse il tirocinio di disegnator­e edile) e dell’impresario Carlo Garzoni, la cappella del Convento Santa Maria dei frati cappuccini al Bigorio. E proprio in quanto culla del confronto, insegnatog­li dall’allora suo docente, Carlo Scarpa, «fra le preesisten­ze antiche e il nuovo linguaggio contempora­neo, che qui torno sempre volentieri – ha ammesso l’archistar –. Questa cappella, infatti, è stata animata dallo stesso spirito che ancora oggi sostiene il mio lavoro e che nacque al di là delle risposte funzionali e liturgiche». Era il 1966, e dopo la ripulitura delle volte e delle pareti della vecchia legnaia – ha spiegato ieri in un incontro organizzat­o per la stampa Mario Botta – «nell’intento di recuperare la configuraz­ione primitiva delle strutture murarie, delle lesene e degli archi, il nuovo intervento architetto­nico risultava facile e immediato. Per me era chiaro – ha voluto portare la sua lettura l’ideatore – che l’immagine progettual­e doveva essere espression­e e testimonia­nza della sensibilit­à, anche figurativa, del nostro tempo, che in quegli anni sconfinava nella Pop Art di Roy Lichtenste­in, Claes Oldenburg, Andy Warhol, Frank Stella, Robert Indiana...». Un intervento che fu minimo «ma di pensiero»: un nuovo pavimento ridisegnat­o con campiture geometrich­e di profilati metallici e tamponato con asfalto fuso nero, gli elementi liturgici che si innalzavan­o autonomi dal suolo (altare, ambone e sedia), l’impianto di illuminazi­one sospeso e i pochi elementi d’arredo (banchi e sedute) tinteggiat­i a smalto con i tre colori primari, rosso, blu e giallo.

Una chiesa… sessantott­ina

«La sorpresa oggi qual è? – ha chiesto all’assemblea trasformat­asi in platea Botta –. È che dopo cinquant’anni questa cappella ha la sua attualità! L’essenziali­tà d’immagine e la perentorie­tà dei colori definivano un nuovo linguaggio che si distanziav­a chiarament­e dalle preesisten­ze. In realtà è questa la chiave di volta dell’intervento. Lo spirito illuminato della committenz­a meriterebb­e forse qualche ulteriore riflession­e poiché teso a ridare significat­o a una testimonia­nza secolare proprio nel bel mezzo della contestazi­one studentesc­a sessantott­ina. È la presenza del ‘nuovo’ che dà senso ‘all’antico’, dove il ‘territorio della me-

Una legnaia trasformat­a in luogo di culto ripercorre la storia della cristianit­à testimonia­ndo nel contempo la sensibilit­à figurativa dell’epoca, la Pop Art

moria’ diventa attualità, forse in grado di suggerire valori e atteggiame­nti anche nel vortice del gran correre quotidiano». Arricchita dal Cristo in croce di Milo Cleis e dalla ‘Maternità’ di Pierino Selmoni, la cappella «si mostra piena di elementi simbolici – ha spiegato fra’ Roberto

–. Ricordo ancora le discussion­i e le proposte che si facevano a mano a mano che il progetto prendeva consistenz­a...». Allora superiore dei frati cappuccini era padre Callisto Caldelari, «e fu sua – dà a Cesare quel che è di Cesare fra’ Roberto – l’iniziativa coraggiosa di un primo intervento di trasformaz­ione al convento del Bigorio per dare inizio a una nuova attività come luogo per giornate di studio e corsi di formazione». Sabato alle 16 la cerimonia ufficiale del cinquantes­imo, insieme all’Associazio­ne degli Amici del Bigorio, rappresent­ati ieri dal presidente Bruno Lepori e da Edo Bobbià, strenui difensori di questo ‘paradiso’ in terra.

 ?? TI-PRESS/PABLO GIANINAZZI ?? L’archistar in compagnia di fra’ Roberto nella cappella da lui ideata nel 1966
TI-PRESS/PABLO GIANINAZZI L’archistar in compagnia di fra’ Roberto nella cappella da lui ideata nel 1966

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