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I genitori: ‘Non era solo un malato, ma un giovane dalle battute taglienti’

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L’ipotesi, «fantasiosa», che gli psicofarma­ci se li sia procurati da solo, ai genitori del giovane paziente proprio non è andata giù. «In pratica si è suicidato? – ha sbottato la madre, guardando dritto in faccia i difensori – “avvocati di grido” –. Non lo accetto». Anche perché, ha contestato, la porta della camera era chiusa e dentro entravano solo gli infermieri. E allora come lo si spiega? Per due persone che quel figlio venuto da lontano (il Brasile) lo hanno adottato, convinti, ha raccontato il padre, di «poter rimarginar­e le sue ferite con l’amore», è difficile sentirsi dire che qui nessuno è colpevole. «Ma qualcuno deve pur prendersi le responsabi­lità», ha rivendicat­o la mamma. Per entrambi quel ragazzone non era solo un malato. Era anche un giovane intelligen­te, «dalle battute taglienti e dotato di sagacia», ha tenuto a dire il papà, la voce strozzata in gola dall’emozione. Quella del 28enne è una storia dura. Un’infanzia arrabbiata, sulle braccia e sul torace le cicatrici delle sigarette che qualcuno gli ha spento sulla pelle. «Ben presto abbiamo capito che l’amore non basta e abbiamo chiesto subito aiuto. Di fatto, però, in questi anni non abbiamo mai ricevuto una diagnosi della sua malattia». Ma ciò che i genitori non si spiegano, a fronte di un quadro clinico così grave, è perché il giovane sia stato collocato, «molte volte», in camere d’albergo. «Lo lasciavano lì per mesi – ha reso pubblico il padre –, nella stessa struttura con casi simili e asilanti. Era abbandonat­o a se stesso, con lo spillatico e i farmaci da ritirare». La stessa Clinica, ha ribadito, gli consegnava scatole di medicament­i, che si doveva gestire. Eppoi ci sono i lunghi periodi di contenzion­e fisica – “anche 9 mesi” – e quella sola alternativ­a del carcere. Un dolore, quello riversato in aula, che i genitori, a due mesi dalla morte del figlio, non hanno voluto sottacere nemmeno ai vertici della Clinica, destinatar­ia di una lettera – letta ieri in aula –, che trasudava un evidente bisogno di risposte a interrogat­ivi ancora insoluti. Il padre e la madre del 28enne volevano sapere di più sugli ultimi giorni, le ultime ore della vita del giovane. Invece, rievoca il papà, «ci siamo ritrovati davanti due persone mai viste, che ci hanno fatto le condoglian­ze e consegnato le chiavi del suo appartamen­to».

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TI-PRESS/F. AGOSTA Lo sfogo in aula

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