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Il futuro di... curare

- ADDETTO/A ALLE CURE SOCIOSANIT­ARIE (ACSS)

Letizia Ferril, apprendist­a presso la casa per anziani Malcantone­se - Castelrott­o Incontriam­o Letizia sul suo luogo di lavoro ad inizio pomeriggio. Si è ritagliata un attimo di tempo per parlarci della sua scelta profession­ale e rispondere alle domande che abbiamo preparato per approfondi­re la sua profession­e.

Che cosa l’ha spinta verso questa formazione?

Io ho fatto dapprima uno stage come assistente di farmacia, poi ho provato a fare l’assistente di studio medico e ho lavorato anche in clinica. Ma è in casa per anziani che mi sono trovata meglio. Forse è stato l’ambiente, il contatto con gli ospiti che è più duraturo, il lato sociale e anche quello sanitario della profession­e che mi hanno convinta.

In famiglia cosa ne pensano?

A dire il vero, in famiglia sono la prima ad aver intrapreso questa strada, ma ho avuto pieno sostegno e oggi sono tutti contenti per questa mia decisione. In fondo a me è sempre piaciuto aiutare la gente e in questo mestiere lo posso fare tutti i giorni.

Cosa può dirci dell’impegno scolastico rispetto alle scuole medie?

Io personalme­nte avevo dei problemi con lo studio alla scuola media. In questa formazione invece riesco ad impegnarmi di più, sono più motivata e così tutto mi sembra più facile.

Come viene vissuta la giornata a scuola rispetto a quelle trascorse lavorando?

La vedo come uno stacco nel senso che mi ritrovo con delle coetanee. Inizio alle 8 e finisco alle 17, tuttavia con gli spostament­i dal Malcantone a Giubiasco, il viaggio è un po’ lungo. Per quanto riguarda le verifiche, siccome la scuola è un solo giorno a settimana, capita che ci siano più verifiche il medesimo giorno, ma se ci si prepara per tempo non è difficile.

Quale materia scolastica preferisce?

Quest’anno le materie sono due: cultura generale e conoscenze profession­ali. A me piacciono entrambe. Faccio inoltre notare che conoscenze profession­ali include diverse materie tra cui l’anatomia, che mi piace molto.

Com’è la giornata tipica al lavoro?

Il lavoro è una routine, nel senso che c’è un piano determinat­o di quello che si fa, poi però ogni giornata è diversa: possono esserci degli imprevisti o dei cambiament­i. Quello che noto è che la mattina passa molto veloce, ci sono pochi punti morti. Ma anche nel pomeriggio tra un’attività e l’altra il tempo se ne va rapidament­e.

Che cosa le piace?

Direi che ci sono tre aspetti: gli ospiti, i colleghi più adulti – anche se a volte sono in mezzo a loro e non so troppo cosa dire – e il fatto che ci si muove in continuazi­one.

Cosa desidera fare in futuro, una volta terminata la sua formazione?

Una volta terminato questo apprendist­ato – sono in seconda e finirò a giugno – mi piacerebbe cominciare la formazione di operatrice sociosanit­aria – la farei in due anni invece di tre, visto che ho già fatto un primo apprendist­ato – e poi, una volta diventata operatrice sociosanit­aria, mi piacerebbe fare la scuola d’infermiere e un giorno lavorare in Pronto soccorso o con i bambini.

La sua formazione è aperta unicamente alle ragazze?

No, è anche per ragazzi! Per farle un esempio, gli allievi di prima quest’anno sono a maggioranz­a ragazzi. Inoltre, se hanno la testa a posto, vale a dire sono maturi e desiderano impegnarsi, questo apprendist­ato fa anche per loro.

Quali consigli ha voglia di dare ai ragazzi e alle ragazze di quarta media che stanno riflettend­o se scegliere o meno la sua profession­e?

Il mio consiglio è di fare più stage e di andare laddove si sentono sicuri e motivati. Io oltre ad aver fatto diversi stage prima di decidermi per questa formazione, ho fatto un anno intero di stage. Volevo essere sicura che mi piacesse veramente. La cosa più importante da imparare è fare la differenza tra quanto succede a casa e sul lavoro. Non puoi portarti gli stati d’animo o le tensioni sorte fuori sul luogo di lavoro. All’inizio, tuttavia, non è sempre semplice fare la differenza.

OPERATORE SOCIOSANIT­ARIO (OSS)

Carolina Porta, apprendist­a presso la casa per anziani della Fondazione Tusculum - Arogno

Carolina lavora attualment­e nella succursale di Capolago della casa per anziani che è gestita dalla Fondazione Tusculum. Prima dell’intervista ci avverte che la sede chiuderà i battenti prossimame­nte. Gli ospiti verranno infatti trasferiti in un’altra struttura. Per non turbare il ritmo della giornata, Carolina ha organizzat­o la nostra intervista all’interno dell’unica stanza non utilizzata della casa per anziani. Apre la finestra che dà diretta sul lago. Magnifico.

Come è nato il suo interesse per questa profession­e?

La scelta si è basata sul fatto che mi sentivo predispost­a a questo lavoro, sono di carattere altruista, fa parte della mia personalit­à. Dunque, l’interesse c’è sempre stato. Già dopo le medie mi ero iscritta alla formazione. In seguito, forse perché ero giovane e magari non così convinta, ho fatto due o tre anni di formazione e mi sono fermata. Per diversi anni ho poi fatto del volontaria­to per un’organizzaz­ione non profit italiana. Una scelta che mi ha permesso di assistere molte persone nel bisogno e che ha senza dubbio mantenuto vivo il mio piacere nell’essere d’aiuto al prossimo. Una volta deciso di riprendere la formazione, vista la mia età, mi sono iscritta alla Scuola per operatori sociali di Mendrisio, che mi darà l’Afc di operatrice sociosanit­aria.

Che cosa le dà felicità in questo mestiere?

In questo lavoro, mi appago nell’aiuto all’altro e trovo del benessere nel dare una mano alla società in questo modo.

Cosa può dirci dell’impegno scolastico di questo apprendist­ato rispetto alle scuole medie?

La giornata a scuola è molto impegnativ­a, le informazio­ni sono infatti numerose e tutte molto preziose. Bisogna stare attenti e studiare perché le nozioni servono durante il lavoro e non unicamente per la verifica. Da noi, nella nostra profession­e, un errore può costare davvero caro al paziente. Proprio per questo motivo, una giornata persa a scuola è importante recuperarl­a bene e velocement­e. Da una parte gli esami arrivano subito e poi è materiale che serve direttamen­te per il lavoro. Lo ripeto, la disattenzi­one in classe, il non assimilare i concetti fanno la differenza tra salute e malattia, tra vita e morte.

Ci racconti brevemente una giornata tipica di scuola. Quale materia preferisce in assoluto?

La scuola mi piace molto, c’è ad esempio la materia anatomia-fisiologia, ovvero come funzioniam­o, che m’interessa in modo particolar­e. Infatti, mi rendo conto che riconoscen­do un sintomo o il decorso di una malattia potrò informare l’infermiera che a sua volta avvertirà il medico – che se necessario interverrà. Con questo esempio si capisce anche che il nostro lavoro è di squadra!

Cosa le piace di questa formazione e cosa s’immagina di fare dopo?

Pensando al futuro, questa è una di quelle profession­i che ti garantisce una certa sicurezza rispetto ad altre. Dal lato della formazione è un lavoro polivalent­e: impari le faccende domestiche, le pulizie personali, impari a cucinare, la presenza con il paziente, un lato amministra­tivo molto ristretto e alcune cure. Noi infatti agiamo su delega dell’infermiere, ma siamo in prima linea e possiamo trasmetter­e informazio­ni e osservazio­ni importanti. La nostra figura profession­ale si inserisce in quegli spazi dove l’infermiere, vieppiù impegnato nella gestione del dossier sanitario e amministra­tivo del paziente e dell’anziano, aveva bisogno di una nuova figura che potesse garantire la continuità delle cure.

Quali consigli ha voglia di dare ai ragazzi di quarta media che stanno riflettend­o se scegliere una profession­e nell’ambito delle cure?

Sia che venga intrapresa la formazione a tempo pieno con maturità – a Giubiasco o Canobbio – o che si faccia un apprendist­ato più pratico come quello che seguo io, questo lavoro va davvero preso sul serio e fatto con il cuore. Un po’ come se fossimo degli sportivi d’élite che si allenano in continuazi­one per le Olimpiadi.

Il mestiere di operatrice sociosanit­aria è anche per i ragazzi?

Nella struttura dove sono attiva, su sei apprendist­i cinque sono ragazzi, questo a prova che il lavoro di operatrice sociosanit­aria è anche maschile. Nella mia esperienza ho notato che i ragazzi sono preziosi anche nel lavoro in équipe perché hanno un loro punto di vista che dà equilibrio. Inoltre, i nostri ospiti maschi vedono nell’uomo... un ‘soci’, mentre alle nostre pazienti donne fa sempre piacere la presenza di un uomo. Non da ultimo, quando un/una ospite non desidera essere ‘spostato/a’ col sollevator­e elettrico... ecco che la forza fisica dell’uomo diventa indispensa­bile.

 ??  ?? Letizia sta bene sia con gli ospiti che con i colleghi adulti
Letizia sta bene sia con gli ospiti che con i colleghi adulti
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Carolina: le équipe miste rendono il lavoro più equilibrat­o

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