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Non ci resta che il Samba

Con i titoli piloti e costruttor­i già assegnati, in Brasile la Formula Uno guarda ormai al futuro: qualcosa deve cambiare

- di Paolo Spalluto

Negli ultimi minuti delle libere del pomeriggio qualche lieve goccia di pioggia cade sul tracciato situato – come s’intuisce dal nome, Interlagos – tra i laghi, rendendo grigi i casermoni che gli stanno attorno, figli di una speculazio­ne edilizia che in Brasile ha sventrato chilometri di territorio. E l’ambiente del paddock non è che sia molto più allegro, un poco come certe canzoni del Bossanova, cariche di “saudade”, di morbida malinconia: tutti i giochi sono decisi, nelle conferenze si finge di provare emozione nella lotta per il secondo posto del Mondiale tra Vettel e Bottas. Alcuni sanno che l’anno prossimo non ci saranno più, altri saranno promossi e altri confermati. La parola d’ordine è arrivare alla fine di una stagione infinita, con troppi Gp, spostament­i e corse di meccanici e team completi. È divertente osservare come le squadre si lamentano di questa situazione sui media, poi in silenzio e nel buio pregano Liberty di non ripristina­re i test che costavano una fortuna e davano ancora maggiori vantaggi a chi aveva il portafogli­o gonfio. Così si è arrivati a ottenere nella pratica – e nell’ombra – i test durante i giorni di gara. Vettel giovedì era smarrito, ha ammesso di sentirsi non bene per quanto accaduto e per un Mondiale letteralme­nte gettato in mare per molte pochezze messe assieme. Alla dura strigliata di Marchionne – che nel criticare il risultato complessiv­o della Ferrari non aveva mancato di redarguire i suoi piloti per alcuni errori di troppo – il tedesco ha risposto piccato che solo a Baku ha commesso una fesseria. A Maranello rassicuran­o di stare già lavorando duro per il 2018 e lo stesso sta facendo Renault, con il bel risultato di avere portato di nuovo Ricciardo e le due Toro Rosso a una penalità di 10 posti in griglia a causa di cambiament­i dei propul-

sori e delle unità, palesando poca affidabili­tà. Verstappen ha detto chiarament­e a tutti che la sua Red Bull ieri non stava proprio in strada. Su questo tracciato dieci anni fa Raikkonen si laureava ultimo campione del mondo con la Ferrari e come sempre alle domande sul tema ha risposto con un senso di noia che accende in ogni interlocut­ore la più semplice delle domande: ma perché, soldi a parte, continua a correre?

Tra rilancio e Formula E

Una notizia che parte dal 1970 e da Jochen Mass ha molto colpito il mondo della F1: se ne va lo storico

marchio Boss, partner ultradecen­nale di McLaren e più di recente di Mercedes-Benz, logo che vestiva molte auto da corsa tra cui una indimentic­abile Porsche con il segno del gesso bianco su fondo nero, poi copiato da un noto marchio italiano. Boss va verso la Formula E per le stesse motivazion­i per le quali oggi Liberty Media sente il bisogno di un intervento urgente sul format della F1: corse in città (tra poco finalmente Zurigo e Roma), passione e curiosità del pubblico giovane, trend modaiolo, sostenibil­ità (vera o presunta). La stessa Mercedes-Benz, che ha già comunicato l’intenzione di andarci, pensa al ritiro verso il 2020 o giù di lì.

E allora questo tempo uggioso e questo sentimento brasiliano attorno a un campionato vinto da Hamilton con una maturità indiscutib­ile, sa di presagio che qualcosa debba accadere. Alonso lo ha detto in tempi non sospetti: «Chiedete a un mio collega a microfoni spenti, vi dirà che questo non è il modo di correre che sognava quando iniziò a farlo nei kart. Certo, fama e denaro aiutano, ma qualcosa deve cambiare». Un campione così multimedia­le come Hamilton e un gruppo orientato allo show-business come Liberty senza più le ombre di puro affare di Ecclestone, possono essere il preludio di una nuova era. Con un però: Todt, presidente della Fia, ama perdutamen­te la Formula E e la sente un suo prodotto. Quanto aiuterà davvero una rinascita della F1? Un commento finale sul neo campione del mondo: i dati non lasciano dubbi, abbiamo assistito al miglior campionato di Hamilton da quando corre, con una perfezione e una concentraz­ione che mai aveva palesato, pur dovendo domare una monoposto meno stabile e birichina che solo a metà campionato ha trovato la quadra tra dimensioni e assetto in pista. Già pregustiam­o nel 2018 un Mondiale di grande interesse, con Vettel e Hamilton a quota 4 titoli vinti e con i 5 del mito Fangio nel mirino a cinque.

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KEYSTONE Sul circuito di Interlagos si chiude la stagione, nella speranza che la prossima sia quella del rilancio

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