laRegione

La casa azzurra e il bene superiore

- Di Aldo Bertagni

La politica e gli uomini del secolo scorso sapevano che sopra ogni cosa c’era il “bene superiore”, ovvero la salvaguard­ia di valori e principi che saldano, tengono insieme, una comunità non importa per quale scopo e per quale bandiera. E in nome di quel bene si sacrificav­a tutto, anche (in particolar­e) le ambizioni personali. Con il ridimensio­namento dei cosiddetti corpi intermedi – fra cui i partiti – e l’epifania della personaliz­zazione che si fa tutt’uno con il corpo del leader a scapito del corpo del partito, il bene superiore si è assai ridimensio­nato, per non dire diluito nel mondo della comunicazi­one dove peraltro non vi è mediazione di sorta e dunque ogni cittadino può vedere e “toccare” il corpo del capo. Che quando cade in disgrazia si porta appresso inesorabil­mente l’intero partito, che pur ancora esiste e serve per gestire il potere (benché se ne dica). Quanto sin qui premesso è molto chiaro nella testa di chi oggi ha a cuore le sorti del Ppd e sta riflettend­o – al di là delle comprensib­ili difese d’ufficio – su come uscire dal tunnel in cui si sono ficcati il presidente cantonale e il consiglier­e di Stato popolari democratic­i con la vicenda “Argo 1”. Perché, comunque la si pensi, a un anno e mezzo dalle elezioni cantonali (e a sei mesi dalla riflession­e sulle liste) non si può certo far finta che niente sia successo. La pancia del partito è disorienta­ta, smarrita, e ne ha motivo. Perché un conto è difendere legittimam­ente la propria persona da accuse considerat­e magari infondate o inconsiste­nti, altra cosa è fare politica chiedendo fiducia in un momento in cui tutto o quasi ti gioca contro e mettendoci la faccia che, proprio perché più esposta del passato, non è più soltanto la tua ma è altresì la faccia dell’intero partito. Diciamola più esplicitam­ente. Chi oggi guarda negli occhi Paolo Beltramine­lli e Fiorenzo Dadò vede sì due uomini, ma anche e soprattutt­o il Ppd. Perché entrambi sono di fatto, nei contenuti e nella sostanza, il partito popolare democratic­o ticinese così come gli altri leader cantonali rispetto al proprio partito di riferiment­o. Se dunque i leader (presidente cantonale e consiglier­e di Stato) sono il partito, oggi più di ieri, a maggior ragione il bene superiore deve prevalere sulle esigenze e ambizioni del singolo. Per garantire quei valori e quei principi che – per fortuna – hanno camminato nella storia grazie a molte teste e altrettant­e gambe. Non sarebbe male che si tornasse a parlare anche di “spirito di servizio”, vale a dire l’impegno politico del singolo come onere e onore a disposizio­ne della comunità. Ci sono momenti in cui fare un passo indietro è più onorevole che restare aggrappati al nulla, all’illusione di un prestigio autorefere­nziale. Poi certo, lo sappiamo, in tempi di specchi e immagini riflesse ogni dove, scendere dal palco non è cosa facile. Come non è facile per il partito, in questo caso il Ppd, trovare in tempi rapidi valide alternativ­e. Per quanto c’è chi già ha conosciuto (in tempi recenti) il sapore della sconfitta ed è senz’altro pronto a rimettersi a disposizio­ne per il “bene superiore”. Appunto. Magari questa volta direttamen­te a Palazzo delle Orsoline, anche perché è l’unica vera macchina di voti che il Ppd possa ancora lanciare in pista. Nel frattempo, non più tardi di ieri sera ai microfoni della Rsi, c’è chi (Fabio Regazzi, consiglier­e nazionale, e Giovanni Bruschetti, sindaco di Massagno) ha chiesto esplicitam­ente al presidente del partito di prendere atto delle difficoltà in corso. Dette in television­e, sono parole pesanti come macigni.

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