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E nei campi ritorna il mercato degli schiavi

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New York – Ottocento dollari per un “ragazzone” adatto ai più faticosi lavori nei campi. Le immagini risalirebb­ero all’agosto scorso, ma il loro contenuto non è invecchiat­o: il mercato degli schiavi, che si credeva consegnato alla storia dell’infamia, è ancora aperto in Libia, e redditizio. Un servizio trasmesso dalla Cnn e basato sulle immagini riprese di nascosto con un telefonino da un ragazzo nigeriano in attesa di essere “venduto” ha documentat­o l’asta di giovani migranti in una località libica non identifica­ta. “800 dinari... 900, 1’100... venduto per 1’200 dinari [pari a 800 dollari, ndr]”, si sente gridare una voce maschile che ha appena battuto all’asta il giovane. “Un ragazzone forte, adatto al lavoro nei campi”. Il video è arrivato ai reporter mandati in Libia dalla Cnn a verificare l’attendibil­ità delle immagini. E anche i giornalist­i, grazie alle telecamere nascoste, sono riusciti a riprendere un’asta di migranti a Tripoli. Pochi minuti per vendere decine di persone. “Questo è uno scavatore, un omone forte. A chi serve uno scavatore?”, annuncia il banditore. Alla fine, i ragazzi vengono consegnati ai loro nuovi padroni. I giornalist­i della Cnn sono riusciti ad avvicinare due dei migranti venduti. “Erano così traumatizz­ati che non riuscivano a dire una parola. Non si fidavano di nessuno”, hanno detto gli inviati. I filmati sono stati consegnati dalla Cnn alle autorità libiche, che hanno promesso un’indagine. Il tenente Naser Hazam, dell’agenzia governativ­a libica contro l’immigrazio­ne illegale a Tripoli, ha dichiarato di non aver mai assistito ad una vendita di schiavi, ma di essere a conoscenza di gang criminali che gestiscono il traffico di esseri umani. Solo 24 ore prima, sui giornali italiani era apparsa una fotografia “rubata”, scattata all’interno di una prigione libica, nel deserto, dove centinaia di migranti vengono trattenuti e torturati, registrand­one i lamenti, per costringer­e i familiari a pagare per il loro rilascio. Mentre l’Europa si felicita della diminuzion­e degli sbarchi sulle proprie coste.

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KEYSTONE Il dolore

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